30/11/17

Negato l’ingresso in Italia a Leila Khaled

Riportiamo questo comunicato dell'Unione Democratica Arabo-Palestinese anche se in disaccordo nel considerare la "impotenza delle istituzioni italiane e la loro incapacità a sottrarsi al ricatto sionista": l'imperialismo italiano, in quanto tale, agisce in piena collaborazione e convergenza di interessi con l'entità sionista, non in posizione subalterna...

OGGETTO: NEGATO L’INGRESSO IN ITALIA ALLA COMPAGNA LEILA KHALED
Oggi, martedì 28 novembre 2017, Leila Khaled è stata fermata all’aeroporto di Fiumicino. Alla compagna è stato negato l’ingresso in Italia ed è stata forzata ad imbarcarsi sul volo successivo per Amman.
Questo grave episodio ha avuto luogo dopo i reiterati attacchi mediatici e a seguito di forti pressioni da parte della lobby sionista in Italia; nei giorni precedenti al suo arrivo numerosi quotidiani hanno pubblicato articoli sensazionalistici e diffamanti dimostrando, nella migliore delle ipotesi, accondiscendenza, nella peggiore, complicità.
Il rimpatrio della compagna Leila Khaled non è che la dimostrazione dell’impotenza delle istituzioni italiane e la loro incapacità di sottrarsi al ricatto sionista: è palese quanto la sua voce, libera e coerente, continui a far paura ancora oggi. Di fatto Leila Khaled aveva ottenuto un visto per l’Europa che si è vista revocare qui, a Roma, allo sbarco. Meno di un mese e mezzo fa è stata accolta in Spagna e in Belgio, e in quest’ultimo ha tenuto una conferenza al Parlamento Europeo.
Nonostante le pressioni, le diffamazioni e le provocazioni, nonostante il rimpatrio imposto alla compagna dalle autorità italiane, l’Unione Democratica-Arabo Palestinese decide di confermare l’iniziativa di sabato 2 dicembre durante la quale Leila Khaled interverrà e sarà comunque con noi tramite collegamento.
L’iniziativa “Cinquant’anni di Resistenza” resta quindi confermata.
L’appuntamento è per: Sabato 2 dicembre 2017 – Ore 17:00
Sarà reso noto a breve l’indirizzo della sala in cui si terrà l’evento.
Unione Democratica Arabo-Palestinese (UDAP) 
Roma

28/11/17

"Ci riguarda tutte" - Il comunicato dell'Assemblea Romana

Il 22 gennaio alle ore 9 inizia il processo per diffamazione nei confronti di 3 donne

Si va e si torna insieme
Prima avvennero lo stupro e le violenze, poi l’ignobile processo e infine la denuncia a quante avevano sostenuto la donna sopravvissuta.

Lo stupro e le violenze:
È il 12 febbraio del 2012 quando Rosa si trova con una sua amica in una discoteca a Pizzoli (L’Aquila). Nella discoteca non ci sono tante persone se non quei militari che il terremoto ha portato là per l’operazione “strade sicure”. Verso le 4 del mattino Rosa verrà ritrovata in mezzo alla neve, con una temperatura sotto lo zero, mezza nuda, sanguinante e in stato di non coscienza. Altri cinque minuti e sarebbe morta. Quello che Rosa ricorderà sarà solo che si trovava al guardaroba a parlare con la sua amica. Si risveglierà poi in sala operatoria. Lo stupro è evidente e anche la brutalità con la quale è stato commesso. Il militare del 33° reggimento artiglieria Aqui de l’Aquila, Francesco Tuccia, difeso dagli avvocati Antonio Valentini e Alberico Villani, sarà l’unico indagato e condannato per i fatti.

Il processo:
Da quando la violenza sessuale è entrata nei codici penali, tra Sette e Ottocento, i processi per stupro sono stati processi alle donne che li denunciavano, di cui si cercava di dimostrare il consenso o la provocazione distruggendone la reputazione, le intenzioni, la vita, discutendo chi frequentavano, come si vestivano, a che ora uscivano e con quanta forza si erano opposte. I movimenti delle donne negli ultimi cinquant’anni hanno fatto di quello che succedeva nelle aule dei tribunali uno dei terreni-chiave nella campagna contro la violenza. Si richiedeva, e lo si continua a fare, da una parte che le donne che denunciano e scelgono di intraprendere la via del processo penale non debbano essere sottoposte a processi di vittimizzazione ulteriore, vale a dire di colpevolizzazione, ritenute parzialmente o interamente responsabili di ciò che è accaduto loro; dall’altra che si riconosca che la condotta assunta in aula dagli avvocati che difendono gli stupratori e dai giudici che sostengono simili impianti è di natura politica, e in quanto tale implica una responsabilità individuale. Un avvocato che sceglie di difendere uno stupratore e insinua, come avvenuto in questo processo e come diversi avvocati hanno fatto nel corso della storia dei processi per stupro, che la donna fosse consenziente e avesse provato piacere durante le violenze compie una scelta precisa, niente affatto neutra o tecnica, figlia della stessa cultura dello stupro che dovrebbero processare.
Al processo di Rosa, come tante altre volte è successo in passato, hanno partecipato molte donne e femministe da tutta Italia, per sostenerla e per vigilare sull’andamento del processo.

La denuncia:
Nel novembre 2015 l’avvocato Valentini è invitato ad un convegno, organizzato dall’associazione Ilaria Rambaldi Onlus di Lanciano, presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, un luogo simbolico per la libertà delle donne.
Molte donne si mobilitano e alla fine la Casa delle donne di Roma segnala all’organizzazione del convegno che l’avvocato Valentini non può varcare quella soglia, perché indesiderato. Ma l’avvocato Valentini non ci sta e denuncia per diffamazione tre donne, colpevoli di avere diffuso una lettera di una aquilana in cui si cercava di spiegare alle donne romane chi fosse l’avvocato Valentini (ciriguardatutte.noblogs.org).

La posta in gioco:
A sembrarci grave non è la denuncia di per sé. A sembrarci grave è che un avvocato di uno stupratore che ha impostato il processo colpevolizzando la sopravvissuta, possa pensare che due anni dopo può impunemente varcare come ospite d’onore la soglia di una Casa delle donne; la cosa che ci sembra grave è che rifiutato, si senta nella posizione di forza e di diritto di intentare lui un processo contro tre donne; la cosa che ci sembra più grave è che uomini del genere invece di vergognarsi, nascondersi, defilarsi, continuino ad occupare la scena pubblica e a condizionare la vita delle donne.
Questa vicenda, lo abbiamo detto dall’inizio, ha un valore simbolico che non si può trascurare.
Vogliamo che diventi l’occasione per evidenziare cosa sono i processi per stupro, la responsabilità politica e individuale di chi partecipa al teatro della giustizia e chi colpisce le reti di solidarietà femminista.

Si va e si torna insieme abbiamo intitolato questo scritto. Alludendo al fatto che insieme siamo state al processo contro gli stupratori di Rosa e insieme ritorneremo a L’Aquila nel processo che coinvolgerà tre di noi per diffamazione. Il riferimento, però, è anche alla necessità di riprendere in mano, per le vecchie e nuove generazioni di donne, pratiche e strategie di autodifesa: in discoteca, nei centri sociali, per strada, ad una festa, si va e si torna insieme, ci si guarda le spalle e ci si protegge l’una con l’altra.

Appuntamento per tutte il 22 gennaio 2018 ore 9 presso il Tribunale dell’Aquila.


Assemblea Romana Ci Riguarda Tutte

27/11/17

ALTRE DONNE, BAMBINI, MIGRANTI LASCIATI MORIRE - IL 25 L'MFPR HA GRIDATO: "Governo, Minniti, assassini! Per i profitti dei vostri padroni lasciate affondare i barconi"

Sabato mattina - nella giornata contro la violenza sulle donne - mentre il governo Gentiloni con il suo Ministro Minniti, e la loro sponsor al "femminile", la Boldrini, mandavano avanti la oscena sceneggiata del governo e parlamento borghese "a difesa delle donne", altre 18 donne e 3 bambini morivano nel naufragio di due gommoni al largo delle coste libiche. In complesso i morti potrebbero essere più di 40. Ma non c'è limite all'azione criminale del nostro imperialismo: i migranti salvati tra cui 9 donne sono stati ricondotti a Tripoli, cioè nei lager, a subire nuovamente stupri e torture...
Nello stesso tempo, sabato alla manifestazione delle donne a Roma la polizia del nostro Stato che stringe accordi con il regime torturatori libici e addestra la sua criminale guardia costiera per bloccare con la violenza i migranti, era impegnata a cercare di reprimere, fermare, denunciare le donne del Mfpr che hanno scritto nei cartelli e hanno gridato - e continueranno a gridare:


Governo, Minniti assassini!
per i profitti dei vostri padroni
lasciate affondare i barconi

Stuprano le donne torturano i migranti
 
governo, Minniti siete i mandanti

Minniti, Minniti, assassino
hai tu sulla coscienza donne e bambini

25 NOVEMBRE A ROMA, altre immagini del contingente mfpr e dei segmenti più radicali del corteo

Una pausa dovuta, nei pressi del Ministero degli Interni




Roma 25 novembre - La repressione non ferma le lavoratrici e le compagne del MFPR

I cartelli incriminati



Infoaut riporta la notizia, ma non dice che si tratta delle lavoratrici di Taranto e Palermo, parte della delegazione del MFPR:
Al concentramento, mentre migliaia di donne si apprestavano a partire, diverse decine di agenti di polizia in borghese hanno accerchiato un gruppo di lavoratrici delle cooperative di cura e assistenza ai disabili del sud che esponevano cartelli contro le politiche di Minniti e le violenze della polizia sulle donne

Universitarie Sapienza clandestina a Roma il 25 novembre


26/11/17

Polizia e organizzatrici romane di NUDM hanno cercato invano di impedire al MFPR di partecipare con i propri cartelli, striscioni, mezzi, bandiere al corteo nazionale contro la violenza sulle donne

25 novembre Roma 


Le lavoratrici, le precarie, le disoccupate, e le compagne del Movimento femminista proletario rivoluzionario hanno dovuto combattere contro l'attacco repressivo della polizia che voleva impedire l'esposizione di due cartelli che denunciavano la violenza della polizia e delle politiche razziste e moderno fasciste del governo Minniti, ma hanno dovuto combattere anche contro il comportamento assolutamente settario e ostile delle organizzatrici romane di NUDM (con posizioni arbitrarie e di fatto reazionarie rispetto all'assemblea nazionale di Pisa).
Polizia e organizzatrici di Nudm hanno cercato entrambi così di ostacolare una partecipazione libera del Mfpr al corteo ma entrambi non ci sono riusciti. 




IL VOLANTINO DEL MFPR DIFFUSO ALLA MANIFESTAZIONE DEL 25 NOVEMBRE - UN APPELLO E PROPOSTA ALLE DONNE PROLETARIE


IL NUOVO FOGLIO DEL MFPR IERI A ROMA - richiederlo a mfpr.naz@gmail.com


Contro l'oppressione e la violenza dei Palazzi del potere... le donne del Mfpr in "guerra" già dal 24 novembre

Roma,  24 novembre


Lavoratrici e Madri in lotta a Palermo, parte della delegazione nazionale del Mfpr che si è recata a Roma per partecipare  alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre, il giorno prima hanno "assediato" alcuni palazzi del potere come il Miur,  per portare le lotte e tutta la protesta contro chi ogni giorno attacca l'intera condizione di vita, calpestando e cancellando diritti inalienabili. 
Madri e lavoratrici, che hanno avuto un incontro al MIUR in merito alla grave condizione che vivono nelle scuole gli studenti disabili in Sicilia e tante lavoratrici e lavoratori precari dei servizi di assistenza igienico-personale, hanno prima solidarizzato con le studentesse e gli studenti presenti in piazza, unendosi alla  loro protesta contro la "buona Scuola" davanti al Ministero, ponendo così praticamente e chiaramente la questione che anche gli incontri che si fanno con le istituzioni borghesi devono essere nell'ottica della guerra che per le donne proletarie è doppia, lotta di classe e lotta di genere.
Non di sole richieste da presentare si tratta,  ma di lotta sotto ogni aspetto, per cui anche un incontro diventa parte di essa in una logica del qui e ora ma anche in prospettiva:

Qui e ora perchè non siamo avulse dalla realtà concreta in cui viviamo ed è giusto e legittimo combattere ogni giorno chi ci governa, le istituzioni, questo Stato  su ogni questione che ci opprime, cercando di ottenere anche dei risultati, sebbene parziali ma concreti, ma nella prospettiva chiara e netta che ogni attacco dei palazzi del potere rientra in quell'attacco generale, sistemico e violento della società capitalista in cui viviamo, di cui la "buona scuola" è una delle manifestazioni,  che può essere eliminato solo con la rivoluzione e non con le illusioni delle  "riforme" borghesi. 


Documento di Nadia Lioce al processo de L'Aquila

Qui di seguito il documento che Nadia Lioce, prigioniera politica detenuta da anni a regime 41 bis, ha presentato al Tribunale Penale de L’Aquila in occasione del processo che la vede imputata proprio per avere protestato in carcere contro il 41 bis (da Contropiano).


La sottoscritta Nadia Lioce ha presentato opposizione al decreto penale di condanna n.29/2016 ritenendo di poter qualificare le azioni, addebitatele come di disturbo delle altre detenute, come tradizionali azioni di protesta verso l’amministrazione penitenziaria (battitura delle sbarre), e di poter argomentare come non potesse ritenere di aver arrecato un disturbo alle altre detenute, non avendo udito lamentele; né che tali azioni arrecassero un tale disturbo, essendo  state storicamente accettate e/o condivise dalle detenute della sezione femminile 41 bis dell’istituto de L’Aquila, come in generale lo sono  per tutti i detenuti.
Gli eventi in oggetto –di battitura delle sbarre- sono quelli del 25/08/2015, 27/08/2015, 29/08/2015, 31/08/2015, 04/09/2015 e 07/09/2015, quali segmento di una protesta durata dal 27 marzo 2015 al 30 settembre 2015, con una frequenza analoga a quella citata (documentata dalle sanzioni irrogate le cui notifiche sono state depositate agli atti), e forme identiche (battitura con bottiglietta di plastica del cancello) e durata (mezz’ora), per un totale di episodi superiore alla cinquantina, in un regime di prigionia “speciale” quale, essendo segregativo nella natura e nello scopo è ordinariamente ben poco conosciuto. Eppure per poter contestualizzare i fatti è necessario poterne distinguere le caratteristiche, per cui la sottoscritta cercherà di tratteggiarle per come si sono andate determinando storicamente, pur nella consapevolezza che il salto esistente tra la vita civile e le condizioni della prigionia speciale in particolare, complessificando la rappresentazione in parole della sua concretezza, possa non essere colmato dal proprio tentativo e lasciarne incompleta la comprensione.
Ma è tanto più necessario quanto più è rilevabile una certa ambiguità aleggiante sulle regole che attengono alla prigionia speciale, sulla quale si tornerà in seguito con degli esempi.
Il 41 bis nasce negli anni ’90, ma come antesignano ha quello che si chiamava “articolo 90”, che veniva applicato ai prigionieri politici, e non solo, ed era parte anche di una più vasta trasformazione dell’istituzione carceraria in direzione della differenziazione in più circuiti detentivi (bassa, media, alta sicurezza – politici e non) e della normalizzazione di sistemi premiali; oltre che inquadrato in ragioni politiche la cui trattazione esula da queste precisazioni.
Entrambi finalizzati a segregazione dall’esterno e controllo interno della popolazione detenuta, all’origine concepiti come regimi di prigionia speciale rispondenti ad un’emergenza, ovvero ad una situazione a termine, non strutturale – l’art. 90 fu addirittura abrogato una volta ritenuta esaurita l’emergenza rivoluzionaria – che in quelle condizioni politiche lo rendeva compatibile con i principi costituzionali.
Il 41 bis conserva –all’origine– questa giustificazione nelle forme applicative ma, non sussistendo più le condizioni politiche generali dei decenni precedenti, in se stesso può nascere per restare come forma di prigionia speciale “normalizzata”.
Almeno in una prima fase viene concretamente gestito con applicazioni di durata limitata della misura che la legge prevedeva potessero essere anche di 3 – 6 mesi e con proroghe non automatiche, e sia l’amministrazione che la giurisprudenza le concepiva revocabili; successivamente la legge aumentò la durata della singola applicazione a 1 o 2 anni e poi ancora, così che attualmente la durata della prima applicazione è imposta a 4 anni, quasi 10 volte più che all’origine, mentre le proroghe sono di un biennio e sono automatiche nella sostanza. Se fino al 2009 esisteva una teorica possibilità di revoca della misura, in sede ministeriale o giurisdizionale, in quanto l’onere di provare la sussistenza di motivi di applicazione era in capo al proponente o al decisore, con le modifiche apportate questa teorica possibilità non esiste più (che non significa che non ci sia stata più alcuna revoca da allora, ma un conto è la regola, un altro il caso particolare).[1]
Precedentemente la detenzione speciale consisteva nella separazione delle sezioni o dei reparti di 41 bis da quelli ordinari (comuni, A.S., EIVC); nella limitazione dei rapporti con l’esterno ai colloqui con il vetro con familiari entro il 3° grado per una o due volte al mese decise dal ministero oppure dal tribunale di sorveglianza territoriale in sede di reclamo, quando la competenza a decidere dei reclami al 41 bis era dei tribunali di sorveglianza locali; limitazioni dei “pacchi” di vestiario e cibi mensili a 2 per 10 kg totali; limitazione delle telefonate a 1 o 2 a familiari (che per riceverla devono recarsi al carcere). Per quanto riguarda la limitazione dei rapporti all’interno essa consisteva: nella frequentazione di 2 ore di passeggi e 2 ore di saletta in gruppi formati al massimo da cinque persone.
Per dare un termine di comparazione rispetto all’antesignano: l’art. 90 non prevedeva suddivisioni in gruppi, cioè i “gruppi” non esistevano, “l’aria” (o passeggi) era frequentata dalla sezione nel suo complesso; (“la socialità” forse al tempo non esisteva).
Rispetto agli altri circuiti detentivi: tutti i circuiti prevedono che l’aria sia a frequentazione comune, di tutta la sezione o di tutto il reparto. Non tutti i reparti utilizzano sale per la socialità che perciò può essere fatta nelle celle in un numero limitato di persone scelte dal detenuto volta per volta.
I detenuti comuni usufruiscono di sei ore mensili di colloquio con un arco più esteso di familiari, quelli in alta sicurezza o del fu EIVC, di quattro ore.
Tutti i detenuti di bassa, media e alta sicurezza possono fare una telefonata settimanale di dieci minuti ai familiari.
Il 41 bis prevede inoltre in tutti i casi la censura della corrispondenza che il censore operativo esamina, ed eventualmente sottopone al giudice competente, per la decisione dell’inoltro o meno. Una misura applicabile anche a detenuti non in 41 bis, in genere a quelli in A.S.
Tutto il resto del trattamento in teoria non avrebbe ragione di differire.
Cioè: si potrebbe erroneamente pensare che le altre condizioni di prigionia di detenuti ordinari e in 41 bis, possano essere le stesse.
In realtà non è mai stato così.

25/11/17

Dal 24 novembre a L'Aquila al 25 Novembre a Roma, "Libertà per Nadia Lioce"


La campagna del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario "No al 41 bis
per Nadia Lioce" torna in piazza, questa volta a Roma, nella manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne. E' stato letto e diffuso il volantino "libertà per Nadia Lioce", distribuito nel corso dei presidi ieri a L'Aquila, e denunciata con forza la discriminazione delle donne anche all'interno delle carceri, con la doppia repressione di quelle che, come Nadia, si ribellano a questo sistema segregativo.


Di seguito il volantino del MFPR per Nadia Lioce:



Libertà per Nadia Lioce!





Nadia Lioce è in 41 bis dal settembre 2005, 12 anni di isolamento assoluto. Ma sin dal suo arresto, nel 2003, è stata di fatto in regime di isolamento.



In 41 bis i detenuti e le detenute possono uscire dalla cella per due ore al giorno, una per l'aria e una per la saletta di socialità). Mentre nelle carceri maschili i gruppi di socialità possono essere composti da 4 persone al massimo, nella sezione femminile speciale del carcere dell'Aquila, i gruppi di socialità possono essere composti al massimo da 2 detenute.

Parlare con un’altra detenuta, che non sia quella assegnata dal carcere è vietato. E’ vietato anche solo guardarla. Così è successo a Nadia ad esempio, che per chiedere del cibo si è rivolta alla lavorante e non alla guardia. L’altra detenuta non rispose, ma la guardò. Così presero entrambe l’isolamento disciplinare.



Negli anni il materiale cartaceo conservabile nelle celle della sezione femminile del carcere dell'Aquila, è passato da 30 a 3 riviste, da 20 a 3 quaderni, a un solo dizionario. Vietato ricevere libri dall’esterno, vietato conservarne in cella. Ogni perquisizione quotidiana era occasione per sequestrare a Nadia ogni cosa, perfino un laccetto per gli occhiali che si era fatto da sé.

Non poter guardare, non poter parlare, non poter leggere, scrivere, cucinarsi, comunicare, ascoltare, conservare i ricordi, le lettere, gli affetti… Cancellare tutto, cancellarsi. Seppellire la propria identità umana, sociale, politica. E’ l’abiura ciò che lo Stato vuole da Nadia Lioce! Questo è lo scopo di annientamento del 41bis sui prigionieri politici.



Giorno dopo giorno, Nadia ha reagito a ogni sequestro e vessazione quotidiana, battendo una bottiglietta di plastica contro la porta blindata della cella in cui è sepolta. Per questo oggi è sottoposta a processo a L’Aquila, accusata di “disturbo del riposo o delle occupazioni” e oltraggio a pubblico ufficiale.

Ma è solo la “quiete” di chi la tortura che Nadia ha turbato con le sue battiture! E’ lo Stato che tortura che dovrebbe sedere sul banco degli imputati.

              

Dal 7 luglio ad oggi la campagna del MFPR per la fine della tortura del 41 bis per Nadia Lioce ha raccolto oltre 2300 firme e centinaia di messaggi di solidarietà.

Una solidarietà a cui la Questura di L’Aquila ha cercato e cerca a tutti i costi di impedire di esprimersi, con divieti pretestuosi e spesso grotteschi, tutto condito con minacce di denunce, controllo stretto e velate intimidazioni verso la compagna del Mfpr, anche sul fronte lavorativo.

Tutto questo perché NESSUNO POSSA VEDERE CHI E QUANTI SOLIDARIZZANO CON UNA PRIGIONIERA POLITICA RIVOLUZIONARIA!



Se dei presidi di solidarietà fanno tanta paura, vuol dire che noi siamo nel giusto, che la nostra campagna di massa per la fine della tortura su Nadia Lioce ha già ottenuto una prima vittoria.



E il 25 novembre alla manifestazione nazionale delle donne a Roma porteremo con forza questa battaglia e lo striscione: "LIBERTA' PER NADIA  LIOCE"

LIBERTA' PER NADIA LIOCE

L'Aquila - Un centinaio di compagni e compagne al tribunale e al carcere hanno rotto i divieti, e forte si e' sentito: "LIBERTA' PER NADIA LIOCE"!



Al tribunale
 
Davanti al carcere


Un centinaio di compagne e compagni hanno sfidato i divieti della Questura di L'Aquila e si sono riuniti davanti al Tribunale dove si teneva l'udienza del processo contro Nadia Lioce, colpevole di aver battuto con una bottiglietta di plastica contro la porta blindata della sua cella per protesta contro i quotidiani soprusi e sequestri di riviste e altro materiale cartaceo e oggetti personali. Erano presenti il Mfpr, Amazora e altre compagne dell’autodifesa femminista e lesbica, Soccorso rosso proletario, Pagine contro la tortura, Ccrsri, Comitato contro la repressione Napoli, con delegazioni da Roma, Milano, Torino, Napoli, Bergamo, Bologna,  Genova, Palermo, Taranto, L’Aquila.
L'udienza è iniziata intorno alle 11 con le testimonianze di una ispettrice del Gom che ha descritto l'atteggiamento di "non dialogo" della detenuta e come la stessa con la sua bottiglietta disturbasse anche altre detenute, il cappellano, lo psicologo e altro personale. La protesta, ha aggiunto, iniziata dopo il sequestro di alcuni atti giudiziari tenuti in cella dalla Lioce, si è interrotta dopo che ne è stata ordinata la restituzione.

Conclusa la testimonianza e poco prima che il giudice annunciasse il rinvio dell'udienza, dal pubblico hanno iniziato a gridare "libertà, libertà". Quindi è stato ordinato lo sgombero dell'aula per interruzione di pubblico processo. L’udienza è stata rinviata al 4 maggio 2018.

Conclusa d'udienza, i manifestanti si sono mossi insieme verso il carcere e proseguito il presidio con interventi al microfono, musica e messaggi di solidarietà.


Torino - Un presidio di solidarietà alla brigatista Nadia Lioce, composto da una decina di persone, si è formato davanti ai cancelli del Palazzo di giustizia di Torino.
L'iniziativa è del gruppo dei Proletari torinesi per il Soccorso Rosso Internazionale e giunge in occasione della ripresa di un procedimento, celebrato a L'Aquila, in cui la Lioce è chiamata a rispondere per alcuni atti di protesta compiuti nel carcere in cui è detenuta in regime di 41 bis.
Gli attivisti, che affermano di non avere chiesto permessi, hanno srotolato uno striscione e hanno distribuito volantini (fonte ANSA)

22/11/17

Questura de L’Aquila: sì ai cortei di casa pound, no ai presidi per Nadia Lioce!


La questura de L’Aquila vuole vietare i presidi al Tribunale e al carcere per Nadia Lioce. Hanno paura anche dei presidi… Una ragione in più per esserci!



Digos e Polizia de L'Aquila stanno facendo di tutto per impedire la manifestazione/presidi in solidarietà con Nadia Lioce.

2 giorni fa’ hanno inviato alla compagna del Mfpr la prescrizione in allegato, perché le località indicate nel preavviso “impegnerebbero le carreggiate stradali di Via XX Settembre e della SS. 80 Dir 3” in quanto “risultano essere arterie principali e strategiche per la viabilità cittadina la cui interruzione provocherebbe grave disagio alla popolazione”


Anche se il presidio della mattina era stato richiesto nello slargo presente sul lato destro del Tribunale, dove si sono già svolti presidi, per impedire che trovassero scuse per vietare del tutto, è stata fatta una nuova comunicazione indicando altri posti. Ma questo finora non è valso ad autorizzare neanche i nuovi presidi.
“Questo no perché è proprietà privata” (e dove si è riuscite a chiedere l’autorizzazione ai proprietari, ci siamo sentite dire: “ci dispiace, ma noi non vogliamo problemi con la polizia”); “questo no perché anche se è un marciapiede, implica invasione della carreggiata”, rispondono dalla Questura e dal Comune. E l’indicazione di "luoghi alternativi" che potrebbero essere concessi, è talmente grottesca che si configura di fatto come un altro divieto: un micro pezzetto del campo di Piazza d'armi, a 750 metri dal Tribunale e una micro rotonda a 400 metri dal carcere per 15 minuti, sulla quale la questura potrebbe “chiudere un occhio”, a patto che non ci si trattenga oltre e che non si “invada” la carreggiata stradale se non per andarci ed andarsene. Il tutto condito con minacce di denunce, controllo stretto e striscianti ricatti nei confronti dell’”organizzatrice”.
Tutto questo perché nessuno possa vedere chi e quant@ solidarizzano con una prigioniera rivoluzionaria!
Tutto questo a 8 mesi di distanza dal corteo nazionale di casa pound a L’Aquila, per il quale il nuovo questore ha bloccato carreggiate e marciapiedi delle strade più nevralgiche e frequentate, sia da pedoni che da veicoli, e chiuso dentro casa privati cittadini!
Tutto questo non ci intimidisce, ma ci fa indignare ancora di più! Se dei presidi di solidarietà fanno tanta paura, vuol dire che noi siamo nel giusto, che la nostra campagna di massa per la fine della tortura su Nadia Lioce ha già ottenuto una prima vittoria (http://chn.ge/2wWnzBt).
Domani 24 novembre a L'Aquila saremo ancora davanti al Tribunale (https://www.facebook.com/events/163880217537997/permalink/167744407151578/), per denunciare le continue vessazioni a cui Nadia Lioce è sottoposta e la precisa scelta politica di Questura e Comune, che mentre vietano a noi di occupare un marciapiede per la difesa di diritti umani, autorizzano i fascisti del terzo millennio ad invadere, da destra, le carreggiate delle strade più centrali e trafficate della città, e dall’alto gli edifici istituzionali, rimuovendo lo striscione di Amnesty International ed accogliendo a Palazzo Fibbioni chi è dichiaratamente anti-costituzionale.
E il 25 novembre alla manifestazione nazionale delle donne a Roma porteremo con forza questa battaglia e lo striscione: "LIBERTA' PER NADIA LIOCE"


Mfpr L’Aquila

20/11/17

Da L'Aquila il 24 novembre verso la manifestazione del 25 a Roma


In videoconferenza il 7 luglio a L'Aquila, Nadia indossava pantaloni rossi e maglietta verde pisello.
Un abbigliamento in apparente contrasto con l'immaginario collettivo su cosa sia la tortura bianca e perchè essa sia chiamata così.

La chiamano "tortura bianca" perché sembra sia stata applicata per la prima volta in Iran sui prigionieri politici, attraverso deprivazione sensoriale su larga scala, a partire da quella visiva: tutto ciò con cui si è in contatto è bianco, anche il vestiario. Non ci sono ombre all'interno della cella. Anche il cibo è bianco e insapore, scondito, per deprivare i sensi del gusto e dell’olfatto. Le celle sono insonorizzate, si viene deprivati anche del tatto (celle lisce e senza finestre).

Ma Nadia indossava pantaloni rossi e maglietta verde e ora sappiamo che le celle della sezione femminile speciale del carcere aquilano sono abbastanza grandi, con una finestra luminosa e sufficientemente areate e riscaldate. Le condizioni materiali di detenzione in 41 bis hanno infatti subito negli ultimi anni un adeguamento, anche perché spesso le visite ispettive, come quelle del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, si limitano a guardare solo certi aspetti (vivibilità delle celle singole e possibilità di usufruire dell’ora d’aria in uno spazio grande e attrezzato)

Ma la tortura del 41 bis era e resta invisibile, non è né bianca né nera; è trasparente, impalpabile; è tortura sociale e viene praticata con l'isolamento totale e vessazioni continue.

 
Nadia Lioce è in 41 bis dal settembre 2005, 12 anni di isolamento assoluto. Ma sin dal suo arresto, nel 2003, è stata, di fatto, in regime di isolamento. Inizialmente poteva usufruire di 2 colloqui al mese con i familiari, perchè il tribunale di sorveglianza aveva ritenuto che, trattandosi di prigioniera politica e non appartenente ad organizzazione di criminalità organizzata, non fosse la famiglia il veicolo di contatto verso l'esterno. Successivamente il Ministero è intervenuto negando la possibilità, ai tribunali di sorveglianza, di poter differenziare queste posizioni e quindi anche per lei, così come per gli altri prigionieri politici e per tutti i detenuti in 41 bis, la regola è di un colloquio mensile della durata di un'ora.

In 41 bis i detenuti e le detenute possono uscire dalla cella per due ore al giorno, una per l'aria e una per la saletta di socialità). Mentre nelle carceri maschili i gruppi di socialità possono essere composti da 4 persone al massimo, nella sezione femminile speciale del carcere dell'Aquila, i gruppi di socialità possono essere composti al massimo da 2 detenute.
E Nadia ha rifiutato di entrare in un “gruppo”di socialità, sia perché le donne in 41 bis sono 7 e inevitabilmente una di loro ne sarebbe rimasta esclusa, sia perché la compagna di socialità, comunque decisa dalla direzione del carcere, avrebbe rappresentato un vincolo alle sue azioni di lotta, perché ogni qualvolta avesse deciso di protestare contro le vessazioni continue all'interno del carcere, ne avrebbe pagato le conseguenze anche l’altra detenuta.


Il prossimo 24 novembre si svolgerà la terza udienza del processo che vede Nadia imputata per "disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone".

Da un'intervista a Caterina Calia, a cura di "Pagine contro la torura", ecco come si sono svolti i fatti:

https://drive.google.com/file/d/1yYo2KGiJUxx-RYYwOJobMkhVDTeqGyVR/view?usp=sharing

L'intervista integrale potete trovarla su https://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/2017/11/intervista-sul-41bis-caterina-calia

e a questo indirizzo l'appello di "Pagine contro la tortura": https://paginecontrolatortura.noblogs.org/categoria/diario/