31/05/16

Formazione rivoluzionaria delle donne: Chiang Cing

Dopo il lavoro, da gennaio ad aprile, su “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” di Engels, da questo mese di maggio, nel 50° anniversario della Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina, cominciamo a pubblicare stralci di un opuscolo su Chiang Ching, la cui vita e grande lotta rivoluzionaria è dai più sconosciuta o mistificata, più altri materiali sulla Rivoluzione culturale proletaria.
Si tratta spesso di materiali per la maggiorparte introvabili o, volutamente, insabbiati. Essi ci fanno scoprire come le donne nella rivoluzione abbiano tentato e possano fare “l'assalto al cielo”.

Chiang Ching
la rivoluzione nella rivoluzione di una donna comunista
(tratto da A World To Win 1993)
 
 
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Una ribelle contro la tradizione
 
Fin da quando, ragazzina, si strappò le bende dai piedi, Chiang Ching fu una ribelle. Crebbe in una Cina stretta tra gli artigli delle potenze imperialiste, in barbari giorni di miseria in cui, come diceva Mao,”gli alberi, come la gente , erano nudi, perchè la gente era occupata a mangiarseli “ , in condizioni di oppressione feudale nelle quali “le contadine speravano di rinascere sotto forma di cani, perchè così, almeno, sarebbero state meno miserabili”. Le zone già controllate dai tedeschi della provincia di Shantung, dove Li Ching (come allora si chiamava) nacque nel 1914, da una famiglia di artigiani poveri, durante la I Guerra Mondiale furono occupate dai giapponesi, come base per l'espansione in tutta la Cina. Suo padre, un fabbricante di ruote, sfogava la rabbia di essere povero bastonando la moglie e i figli, fino a quando sua madre lo abbandonò per andare a lavorare a servizio presso un proprietario terriero.
Chiang Ching ricorda di aver patito spesso la fame ma di essere stata più fortunata di molti altri, perchè potè andare a scuola. In un' intervista disse che le lezioni che più odiava a scuola erano quelle di morale confuciana (o come obbedire alle autorità) e di essere stata picchiata spesso per essersi distratta in classe. Ricorda la nausea e il terrore quando, bambina, vedeva le teste dei debitori decapitati issate sulle pertiche e il crepitio delle esecuzioni dei ladri che avevano rubato cibo risuonava nelle sue orecchie.
Chiang Ching s' interessò per la prima volta di recitazione quando all'età di quindici anni, studiò in una scuola di teatro sperimentale di stato, cui era stata ammessa solo perchè non vi era un numero sufficiente di ragazze iscritte. La scuola, però, chiuse poco dopo, a causa della pressione dell'esercito di un signore della guerra accampato nella città di Tsinan, e lei, alcuni dei professori ed altri studenti, raggiunsero Pechino come compagnia teatrale itinerante. L'incidente a di Mukden del 18 settembre del 1931, quando gli imperialisti giapponesi occuparono la Manciuria, rappresentò per Chiang Ching il primo punto di svolta politico. Sin da giovane aveva odiato l'occupazione straniera del suo paese, ma fu allora che decise che doveva prendere una posizione.
Si unì subito alla Lega dei Drammaturghi di sinistra (diretta dal Partito Comunista) di Tsingtao, dove lavorò come impiegata nella biblioteca dell'Università, cominciando a leggere le opere di Lenin.
Con alcuni amici, formò la Società Drammatica della Costa, che si recava nelle zone rurali a rappresentare opere anti giapponesi e a propagandare le zone “Sovietiche” che erano state fondate dall'Esercito Rosso della Cina. Scoprirono una miseria che mai avevano visto nelle città e capirono che la differenza tra gli obbiettivi delle forze nazionalistiche del Kuomitang e quelli dei comunisti non era affatto una questione accademica. Contro l'aggressione giapponese, Chiang Ching appoggiò la linea di “Resistenza totale”, guadagnandosi la reputazione di “agitatrice” tra i circoli universitari in cui si muoveva.
Effettivamente, Chiang Ching aveva ricevuto solo otto anni di educazione formale, compresi i cinque anni della scuola elementare, anche se molto spesso aveva seguito corsi universitari che la interessavano. Come lei dice, la maggior parte di quello che apprese proveniva “dall'educazione sociale “, dalla scuola dell'esperienza per lei iniziata nel 1933, quando conobbe e fu poi ammessa nell'allora clandestino PCC. Nei turbolenti anni 30, decise che fare la rivoluzione era molto più importante che scrivere saggi e poesie.
Nondimeno, quando fu inviata a lavorare a Shangai nella primavera del 1933, Chiang Ching potè scoprire che diventare membro attivo del Partito era anche molto più difficile. Lì, dominata dal principale avversa rio politico di Mao , Wang Ming, e dalla sua linea insurrezionalista urbana, la struttura del Partito fu quasi completamente dissolta e prevalse l'opportunismo. Molti di questi capi del PCC, quando non collaboravano direttamente con il KMT, si servivano le forze nuove attratte dal comunismo, le centinaia di migliaia di intellettuali di sinistra che riparavano nella cosmopolita Shangai, per proteggersi dalle continue retate del Kuomitang.
Il primo incarico di Chiang Ching a Shangai fu presso la locale Compagnia di Lavoro e Studi.
Divenne attrice teatrale, recitando in numerose opere progressiste che chiamavano il popolo alla difesa della Cina contro il Giappone. Successivamente, lavorando come insegnante nei corsi serali per operai, visitò molte fabbriche, acquisendo stretta familiarità con le miserabili condizioni del sistema di lavoro a contratto in fabbrica, specie nei grandi stabilimenti tessili, di proprietà nipponica e in quelle di sigarette, di proprietà britannica. Fu arrestata dal KMT (“grazie ad un suo vecchio amico del PCC rinnegato entrato nella polizia segreta ) e incarcerata per otto mesi. Se non altro, raccontò poi, nel tempo trascorso in carcere prese lezioni su come ingannare, recitando, i suoi carcerieri del KMT.
Essere un'attrice di cinema negli anni 30 a Shangai significava andare contro la tradizione, su tutti i fronti. La tradizione disprezzava questa occupazione, considerandola una professione per donne 'facili' e socialmente radicali. Le attrici erano oggetto di di spietate persecuzioni personali, volte a risvegliarne gli 'istinti' feudali e spingerle al suicidio (esito molto frequente). Il noto scrittore rivoluzionario Lu Sin, allora molto influente, che simpatizzava con i comunisti, fu uno dei suoi maestri. Egli scrisse diversi saggi su questo problema e sull'emancipazione della donna in generale;
in particolare “il pettegolezzo è qualcosa di spaventoso”, che criticava le ingiuste calunnie contro le donne impegnate nelle ar ti sceniche e gli attacchi della stampa misogina.
A metà degli anni 30 Mao e l'Esercito Rosso intrapresero la Lunga Marcia, Chiang Ching era spesso impegnata, per sopravvivere, in riprese cinematografiche e potè constatare che le produzioni erano ancora completamente dominate da Hollywood, ad eccezione di pochi film democratici. Scrisse anche alcuni articoli sulla rivista di sinistra Illustrazione. Quando la stampa diffuse la falsa notizia del suo rapimento (per spingerla al suicidio), denunciò questa minaccia personale in un articolo dal titolo”La mia lettera aperta”, pubblicato in un periodico di Shangai, Chiang Ching si recò al nord, nei quartieri dell' VIII Corpo dell'Esercito del PCC nel Sian, dove lei e molti altri giovani radicali accorrevano per unirsi alle truppe dell'Esercito Rosso nello Yenan, dopo un viaggio di circa 500 Km attraverso le montagne.
 
 

CONTRO LE DONNE UCCISE NON BASTA IL LUTTO, PAGHERETE CARO, PAGHERETE TUTTO!

 
Continua il femminicidio: un’altra giovane vita spezzata, un altro fiore strappato con barbarie dal campo…

ONE SOLUTION, REVOLUTION!!!
 
Una ragazza - Sara Di Pietrantonio, 22 anni, di Roma, studentessa universitaria - uccisa crudelmente dal suo ex fidanzato Vincenzo Paduano, 27 anni, guardia giurata, che le ha dato fuoco poiché non voleva accettare la fine della loro relazione.

Si è trattato dell’ennesimo delitto atroce -annunciato e premeditato- per di più sotto lo sguardo indifferente degli automobilisti che, malgrado La giovane chiedesse loro aiuto, non si sono fermati. E la cosa altrettanto mostruosa è che poi, il bastardo assassino sia tornato tranquillamente al lavoro.

NON CI SONO ALTRE PAROLE, SE NON BARBARIE!

Barbarie a cui purtroppo la gente si sta via via abituando, tanto che il femminicidio è divenuto oramai solo una “tragica normalita”, in un sistema maschilista, patriarcale e misogino, che produce ed alimenta la violenza ed il senso di proprietà sul corpo, sulla mente e la vita delle donne.

MA COME ABBIAMO SPESSO RIPETUTO, NON SI PUO’ FAR FINTA

 DI NIENTE, NON SI PUO’ NON FARE NIENTE!

Contro il femminicidio e la violenza sulle donne, che neppure l’inasprimento delle pene riesce a fermare, torniamo tutte in piazza a fare sentire forte la voce dell’altra metà del cielo, che non ha nessuna intenzione di abituarsi alla carneficina e al ritorno del MODERNO MEDIOEVO!

Contro le donne uccise non basta il lutto,

pagherete caro, pagherete tutto!


PA, 30.05.2016


Lavoratrici ed ex puliziere Policlinico - Palermo

29/05/16

Porci padroni - le operaie denunciano

Molestie in fabbrica, operaie si uniscono e l'impresa è condannata


Importunata dal primo giorno di assunzione, poi il tentato stupro
Roma. (askanews) - Marina (il nome è di fantasia) è stata assunta il 14 settembre del 2011 e pensava di aver coronato il sogno di trovare finalmente un posto sicuro. Un sogno che si è infranto contro un muro di crescenti "atti di molestia sessuale pesanti e ripetuti culminati in una vera e propria aggressione sessuale il 5 ottobre 2011" da parte del "padre della legale rappresentante della società che operava di fatto quale titolare dell'azienda".
E' quanto si legge nella sentenza del tribunale di Firenze che, dopo oltre cinque anni, ha dato ragione alla lavoratrice che si era dimessa per giusta causa poco dopo l'aggressione. Un verdetto cui si è giunti grazie alle testimonianze di altre operaie che hanno trovato il coraggio di parlare e che hanno portato anche alla condanna dell'azienda per non aver fatto nulla per fermare l'uomo.
L'uomo era di fatto "l'imprenditore, quello che comandava in azienda, che organizzava e dava gli ordini", hanno raccontato alcune dipendenti che di fronte alle molestie avevano evitato di denunciare per paura di perdere il posto di lavoro. Le molestie andavano da apprezzamenti pesanti a richieste di prestazioni. Il padre della datrice di lavoro le metteva le mani addosso non appena si trovavano da soli nella stanza adibita a spogliatoio e la costringeva "fino al momento in cui un altro dipendente suonava al campanello della porta d'ingresso della ditta". Episodi dolorosi che hanno causato nella donna profonde conseguenze fisiche e psicologiche, disturbi del sonno con incubi e bruschi risvegli, perdita di peso, ricordi invasivi del trauma, isolamento, disagio sociale.
Il tribunale ha riconosciuto che "il ricorso è fondato e va accolto" e ha condannato l'azienda a liquidare il risarcimento del danno in circa 14mila euro per danno biologico e in 20mila euro per danno non patrimoniale da discriminazione, oltre all'indennità sostitutiva del preavviso e alle spese legali.
La figlia, titolare dell'azienda di cui il padre figurava come socio, "non si è minimamente attivata al fine di prevenire e reprimere le condotte di molestia del padre in azienda, pur essendone sicuramente a conoscenza essendo fatto notorio e risaputo tra tutti i dipendenti che il padre molestasse le operai e che già in passato aveva avuto dei precedenti". "In caso di molestie sessuali nel luogo di lavoro - hanno stabilito i magistrati - la società è tenuta al risarcimento del danno biologico per inabilità temporanea e permanente e del danno non patrimoniale da discriminazione in ragione del sesso" per la mancata adozione di iniziative di prevenzione e repressione da parte della società.
Sul blog di diritto del lavoro soluzionilavoro.wordpress.com è possibile trovare una nota di approfondimento sulla vicenda.

Rendiamo onore alle "audaci rivoluzionarie" maoiste - India





Cinque donne Naxalite uccise in diversi scontri sono Rajita Usendi, Minko Naroti, Aarti Pudo, Nirmala Dumma e Sarita Kowasi.


I maoisti hanno proclamato uno sciopero totale (bandh) a Gadchiroli per il 31 maggio per protestare contro l'uccisione di cinque dei loro membri donne in vari scontri da gennaio. Definendo le uccisioni "spietate", Srinavasan, portavoce dell’Ufficio sub-zonale occidentale del Comitato Speciale di Zona del Dandakaranya, ha detto in una nota stampa che "sicari assassini" del governo Modi “induista, fascista, braminico" hanno mostrato una "crudeltà medievale" nell’uccidere i quadri donne "audaci rivoluzionarie", e ha proclamato uno sciopero totale (bandh) per il 31 maggio.

Le cinque donne Naxalite uccise in diversi scontri sono Rajita Usendi, Minko Naroti, Aarti Pudo, Nirmala Dumma e Sarita Kowasi. "Rajita, membro del comitato divisionale del PCI (Maoista), era arrivata al villaggio di Hurrekasa nella prefettura di Dhanora insieme con una compagna dopo essere andata via dal suo villaggio in seguito ad uno scontro a fuoco con la polizia vicino al villaggio di Mahawada il 4 maggio. Attraverso i propri informatori, la polizia è venuta a conoscenza della sua presenza a Hurrekasa. Così gli uomini della polizia sono arrivati al villaggio, hanno bloccato la casa dove lei si trovava, ma la coraggiosa Rajita ha combattuto fino all'ultimo proiettile del suo fucile AK-47", ha detto Srinavasan, aggiungendo: “Il commando C-60 ha poi brutalmente bombardato la casa facendo morire carbonizzata Rajita."


Srinavasan ha poi anche reso un caloroso omaggio alla "lotta" portata avanti dalle altre "donne martiri". Un uomo che ha detto di chiamarsi Waghuram Usendi e fratello di Rajita ha detto a The Indian Express, "La polizia ha lasciato bruciare mia sorella, quando potevano ucciderla con un proiettile. È giusto fare questo? "

Il sovrintendente di polizia Sandip Patil ha detto: "Abbiamo spiegato tutto in precedenza. I nostri uomini che hanno raggiunto il villaggio nella notte del 9 maggio hanno cercato di convincerla a cedere inviando il poliziotto del villaggio Patil presso la casa di proprietà di Yamunabai Parse, dove si era rintanata. Ma lei ha rifiutato di accettare l'offerta. E questo è andato avanti per più di tre ore. Non avremmo potuto prendere d'assalto la casa per catturarla viva dato che anche lei sparava con il suo fucile AK-47. Così, infine, i nostri uomini hanno usato un lanciagranate sparando una bomba dentro casa per ucciderla."
 
INFO MFPR

28/05/16

Solidarietà e mobilitazione per le prigioniere politiche! Difendiamo le condizioni di vita di Nadia Lioce - STOP AL 41 BIS

Volantino distribuito il 12-13 maggio a Roma dal MFPR, in occasione del presidio davanti al DAP (qui report del presidio)

Qui si può scaricare un utile quaderno su 41 bis, sistemi detentivi, carcere duro, isolamento carcerario, a cura del collettivo Studenti Federico II e sul sito del MFLA si può ascoltare l'approfondimento del 10 maggio su carcere duro e 41 bis con un intervento di Severina Berselli e di una compagna della campagna Pagine contro la tortura

Centro di documentazione online su movimenti e organizzazioni armate in Italia

Nei mesi scorsi è stato creato, ed è ora in progressivo incremento, un Centro di documentazione on line su movimenti e organizzazioni rivoluzionarie armate in Italia a partire dagli anni Settanta del Novecento.
Il Centro, gestito da un collettivo redazionale, è consultabile nei siti dell’Osservatorio sulla repressione  e del libro Sebben che siamo donne.
Raccoglie scritti di varie organizzazioni o gruppi rivoluzionari armati italiani, significativi per il loro valore storico documentario. Riteniamo infatti che la lettura diretta delle fonti sia fondamentale per una riflessione più approfondita su alcuni temi della storia recente del nostro paese spesso distorti o rimossi dalla memoria collettiva. Della lotta armata degli ultimi decenni in Italia si parla e si scrive molto. Eppure la vastissima produzione bibliografica, spesso costellata da interessate dietrologie, sembra essere inversamente proporzionale alla chiarezza. Per questo, una pubblicazione sul web, liberamente consultabile, di documenti di non facile reperibilità perché conservati prevalentemente negli archivi dei tribunali, può fornire una opportunità a tutte/i coloro che sono interessate/i. Siamo infatti convinti che solo dalla lettura diretta delle motivazioni e degli orientamenti politico ideologici alla base della pratica armata sia possibile formarsi una propria opinione non influenzata e falsata dalla pubblicistica sull’argomento.
Fra i numerosi gruppi e organizzazioni armate degli anni Settanta-Ottanta, è stato al momento selezionato materiale di quelle formazioni – di area marxista-leninista, operaista, anarchica – che hanno prodotto materiale documentario più significativo.
I documenti sono pubblicati senza alcuna presentazione o commento, introdotti esclusivamente da una scheda storica di ogni organizzazione.
Il materiale pubblicato è liberamente utilizzabile e duplicabile, citando la fonte nel caso delle schede storiche. Chiunque abbia documentazione per ampliare questo archivio, o vuole contribuire al lavoro di ricerca e/o trascrizione dei testi può inviare una mail a docmovimenti@gmail.com.
Vi chiediamo di inserire il link nei vostri siti, di pubblicizzare con gli strumenti di cui disponete la nascita di questo centro.
Per interviste, info ecc. inviare una mail a docmovimenti@gmail.com
Coordinamento testi: Paola Staccioli
Collettivo redazionale: Alfredo Davanzo, Vincenzo Sisi, Andrea Stauffacher, Paola Staccioli

Le braccianti tra caporalato, sfruttamento, stupri e morte

Riportiamo una denuncia (purtroppo non nuova): "Donne, caporalato e sfruttamento nei campi del “Ghetto Italia".
Occorre organizzare la lotta delle braccianti immigrate e italiane. Senza questa lotta, le proposte, anche giuste, sono palliativi e la richiesta che le imprese riducano i loro profitti è una illusione, niente affatto scientifica.
L'MFPR in Puglia si impegnerà quest'estate su questo.
All'interno della manifestazione nazionale delle lavoratrici che occorre organizzare per quest'autunno e a cui chiamiamo tutte a lavorarci.
MFPR


Donne, caporalato e sfruttamento nei campi del “Ghetto Italia
 

Quando pensiamo al lavoro agricolo andiamo con la mente alla fatica e al sudore di un’occupazione considerata, a torto, prevalentemente maschile. Le cose non stanno così. Nell’immaginario più comune si specchia un pregiudizio, visto che le donne, le braccianti, costituiscono un pezzo importante dell’offerta di lavoro in agricoltura. A dire il vero nella condizione delle braccianti, soprattutto se straniere, troviamo tutti i più terribili ingredienti delle nuove forme di sfruttamento.

Va detto innanzitutto che il lavoro femminile non sostituisce quello maschile, ma gli è complementare, soprattutto quando le donne sono impiegate per immagazzinare i prodotti agricoli dopo averli raccolti. Se si tratta di ortaggi le donne sono preferite agli uomini per via della maggiore delicatezza del lavoro da svolgere. La raccolta degli ortaggi può avvenire in serra, sotto grandi tendoni, al caldo asfissiante, dove all’umidità dobbiamo associare le esalazioni dei fitofarmaci e di altri veleni. Questo avviene in Calabria, nel Lazio, in Puglia, in Emilia…

Le donne, italiane e straniere, vengono condotte nei luoghi della raccolta dai caporali, trasportate per decine di chilometri dai punti di raccolta. Nel caso pugliese, i pulmini dei caporali partono dai comuni della provincia di Brindisi o di Taranto per raggiungere Bari e la Bat, dove c’è la più forte concentrazione di imprese di una certa dimensione: capaci di assorbire manodopera in grande quantità. Ed in queste aziende può capitare che le braccianti siano sottoposte a forme di ricatto, anche sessuale, pur di mantenere il posto, per essere richiamate a lavorare l’indomani.

Il ricatto sessuale non è nuovo. Nella memoria delle braccianti pugliesi e siciliane, per esempio, il racconto degli stupri e dei palpeggiamenti da parte dei caporali e dei capisquadra è sempre stato frequente. Quello che cambia è la nazionalità delle donne ricattate. Sono per lo più rumene o centrafricane. In alcuni casi, come ci hanno raccontato alcune braccianti rumene della provincia di Taranto, le più giovani sono selezionate nude in una specie di turpe sfilata sotto i teloni di imprese non sempre piccole e spesso beneficiarie di lauti finanziamenti pubblici. Questa condizione rivela quanto sia maschilizzato il sistema dello sfruttamento. Le caporali, infatti, sono poche e certamente non assurgono ai vertici del sistema.

La manodopera femminile è un doppio serbatoio di gratificazione per i caporali: pecuniaria e sessuale. Nei ghetti dei braccianti il confine tra lavoro bracciantile e prostituzione è davvero labile. Questo fenomeno è osservabile nel ghetto di Rignano Garganico o in altri più piccoli ghetti della Capitanata. Qui le donne – nigeriane, altre centrafricane e rumene – sono prostituite nei bordelli e condotte nei campi come braccianti. Siamo in un regime di doppia riduzione a merce delle braccia e del sesso di queste immigrate. Le ragazze vengono vendute per i braccianti, ma sono gratuitamente a disposizione dei caporali e dei proprietari dei terreni sui quali lavorano e sono innalzati i ghetti. Ci è capitato di osservare questa situazione soprattutto nel foggiano, dove la già elevata domanda invernale di sesso a pagamento aumenta nella stagione estiva grazie all’arrivo di migliaia di maschi per la raccolta del pomodoro. È un circolo vizioso, un girone infernale che stritola le ragazze in una morsa di stress, affaticamento e malattia.

Le braccianti pagano, soprattutto se madri, l’inesistenza di sistemi di welfare adeguati al mercato del lavoro. È molto raro che un Comune apra un asilo o un nido notturno per i figli delle braccianti, e questo costituisce un impedimento alla continuità lavorativa che si ripercuote sulle garanzie contributive e retributive. D’altra parte, se alle braccianti viene sempre assegnato un numero di giornate agricole dichiarate all’Inps inferiore a quello delle giornate realmente lavorate, ci sarà una spiegazione. E queste giornate, poi, sono molte meno di quelle registrate per gli uomini. Sono certamente la più forte fragilità sociale, la tendenziale esclusione dal mercato del lavoro e una diffusa sottocultura che rendono le braccianti meno tutelate degli omologhi maschili, e meno visibili nel racconto mediatico sul lavoro agricolo.

In un sistema globale – gestito dalle grandi imprese della trasformazione agroindustriale e dalle grandi reti commerciali – per chi fissa il prezzo del prodotto agricolo a prescindere dal costo del lavoro, la manodopera femminile è una risorsa preziosa. Un prodotto può costare tanto ma contenere un dosaggio robusto di sfruttamento e di lavoro femminile (e maschile) nero e sottopagato. In Puglia nel 2014 sono aumentate le donne straniere registrate come braccianti, mentre è diminuito il numero delle tutele ad esse destinate. Il dato rivela una contraddizione interna al mercato del lavoro, mai sanata dalle normative e dalle ispezioni. Il prezzo del prodotto, incidendo sul tendenziale azzeramento del costo del lavoro come mai accaduto in precedenza nella storia contemporanea, gioca come una scommessa epocale contro i salari e contro la salute delle braccianti. Questo spiega, secondo noi, perché la scorsa estate ci sono stati sei morti nelle campagne pugliesi, tra i quali due donne.

Per porre rimedio a questa condizione disumana è necessario centralizzare nel sistema pubblico il collocamento delle/dei braccianti, sottrarlo alle agenzie informali – i caporali – ed a quelle interinali – non di rado in combutta con i caporali – di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Come è necessario che il trasporto e gli altri servizi siano garantiti dalle imprese e dalle istituzioni locali. Infine, gli stessi dispositivi contrattuali devono essere modificati al rialzo dei diritti: il ricorso al voucher, diffuso soprattutto al Nord, è un espediente adoperato dal sistema d’impresa più intelligente ed evoluto per ridurre salari e tutele e per evadere contributi. Perché questo accada, le grandi imprese dovranno ridurre i margini della rendita e del profitto accumulati sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli. 

Di Leonardo Palmisano e Yvan Sagnet.


25/05/16

Da un'intervista a Sarah Helm sul lager nazista per sole donne di Ravensbruck

Di seguito un'intervista a Sarah Helm, scrittrice e giornalista inglese, autrice del libro "il cielo sopra l'inferno"- una ricerca e denuncia quanto mai importante di fronte allo svilupparsi di forze e tendenze naziste in tutta Europa, che cavalcano la tigre della crisi e dell'immigrazione per far avanzare la loro orda nera.

L'orrore nazifascista da non dimenticare.
Ravensbruck, il campo delle reiette
 
Intervista. con la scrittrice e giornalista inglese Sarah Helm sul suo libro sul lager nazista per sole donne, «Il cielo sopra l’inferno»,
È stato l’orrore nazi­sta decli­nato al fem­mi­nile, Raven­sbruck, il campo di con­cen­tra­mento per sole donne, aperto nel mag­gio 1939 a nord di Ber­lino. Vi veni­vano rin­chiuse e tor­tu­rate donne defi­nite aso­ciali: senza fissa dimora, malate di mente, disa­bili, testi­moni di Geova, oppo­si­trici poli­ti­che, atti­vi­ste della resi­stenza, comu­ni­ste, zin­gare, lesbi­che, vaga­bonde, pro­sti­tute, men­di­canti, ladre, e, solo in minima parte, ebree. Donne con­si­de­rate di razza infe­riore e reiette che anda­vano cor­rette, punite ed estir­pate dalla società per evi­tare che con­ta­gias­sero gli ariani. Una strut­tura voluta da Himm­ler e da
cui in sei anni tran­si­ta­rono circa 130mila pri­gio­niere, pro­ve­nienti da più di venti paesi euro­pei. Si stima che le vit­time furono fra le trenta e le novan­ta­mila donne, un dato incerto per la scarsa docu­men­ta­zione rima­sta dopo che le carte furono distrutte per insab­biare i cri­mini com­piuti alla vigi­lia della libe­ra­zione. Nel campo le donne subi­rono sevi­zie, espe­ri­menti medici, tor­ture, ste­ri­liz­za­zioni e aborti, ese­cu­zioni som­ma­rie oltre a ritmi este­nuanti di lavori for­zati. Dal campo di Mal­chow, un sot­to­campo di Raven­sbruck, fu libe­rata nel ’45 l’italiana Liliana Segre.

La sto­ria dell’unico campo di con­cen­tra­mento fem­mi­nile, rima­sta per molti anni nell’ombra, è al cen­tro del libro Il cielo sopra l’inferno (titolo ori­gi­nale If this is a Woman, para­fra­sando Primo Levi) della gior­na­li­sta inglese Sarah Helm, da poco uscito in Ita­lia, edito da New­ton Comp­ton

Per­ché ha deciso di rac­con­tare la sto­ria di Raven­sbruck?
Avevo già scritto di Vera Atkins, straor­di­na­ria ebrea tede­sca che lavo­rava per l’intelligence bri­tan­nica a un’operazione segreta voluta da Chur­chill, reclu­tando e adde­strando donne a para­ca­du­tarsi in Fran­cia per aiu­tare la resi­stenza. Dopo la cat­tura, le agenti non tor­na­rono più e non furono mai cer­cate. Atkins seguì le loro tracce, que­ste la por­ta­rono a Raven­sbruck, dove molte erano state rin­chiuse. Rac­colse molte testi­mo­nianze e il pro­cesso per cri­mini di guerra per­pe­trati nel campo fu istruito dalle auto­rità bri­tan­ni­che gra­zie alle sue ricerche.

Che attua­lità assume oggi que­sto rac­conto a distanza di settant’anni?
Le testi­mo­nianze, le sof­fe­renze e il corag­gio di quelle donne sono cen­trali. È una sto­ria rima­sta ai mar­gini dei mar­gini. Si è trat­tato di un cri­mine con­tro l’umanità. Le donne furono tor­tu­rate, fatte sof­frire in maniera inau­dita, sepa­rate dai bam­bini che videro morire sotto ai loro occhi. Fu com­piuta una ste­ri­liz­za­zione di massa, oltre ad aborti atroci. A Raven­sbruck i nazi­sti pra­ti­ca­rono il con­trollo della ripro­du­zione, fu un labo­ra­to­rio per appli­care sui loro corpi vari metodi e stu­diare come rea­gi­vano ai trat­ta­menti. Le vit­time pra­ti­ca­rono sistemi di soprav­vi­venza estremi e uno straor­di­na­rio corag­gio. Si rea­liz­za­rono forme di soli­da­rietà da parte delle dot­to­resse del campo e di pic­coli gruppi di soste­gno a chi aveva perso i fami­liari. Si creò un’anomala forma di società. Le guar­die erano donne, altro aspetto non tra­scu­ra­bile, i cri­mini quindi erano com­messi da donne sulle donne. Aver mar­gi­na­liz­zato la sto­ria di Raven­sbruck ha signi­fi­cato accan­to­nare que­sta cru­deltà. La più ter­ri­bile sto­ria di orrore fu appli­cata nella stanza dei bam­bini. Le Ss cer­ca­rono di pre­ve­nire ed evi­tarne la nascita: vole­vano far estin­guere le razze con­si­de­rate infe­riori, ma verso la fine della guerra, nel 1944, le pri­gio­niere in stato di gra­vi­danza rag­giun­sero numeri tali che la situa­zione sfuggì al con­trollo e non si riu­scì più a pra­ti­care in tempo la ste­ri­liz­za­zione né l’aborto. Si per­mise di far nascere i bam­bini nella con­sa­pe­vo­lezza che sareb­bero morti. Dif­fi­cile imma­gi­nare qual­cosa di più cru­dele: per­met­tere alle donne di dare alla luce i loro pic­coli per vederli morire di stenti. A Raven­sbruck que­sta è forse stata una delle più orri­bili azioni di cru­deltà nazi­sta che era asso­lu­ta­mente neces­sa­rio ricordare.

Cosa rende atro­ce­mente spe­ciale e diverso dagli altri il campo nazi­sta di Raven­sbruck?
La capa­cità delle donne di resi­stere e com­bat­tere con­tro quello che stava acca­dendo. Soprav­vi­vere. È una sto­ria di corag­gio, deter­mi­na­zione e volontà. Le gio­vani stu­den­tesse polac­che di Lublino, ad esem­pio, arri­vate nel 1941, e scelte per gli espe­ri­menti medici. I coni­gli, come furono sopran­no­mi­nate per la loro anda­tura zop­pi­cante, subi­rono atroci espe­ri­menti alle gambe. Himm­ler chiese ai dot­tori di ricreare le con­di­zioni dei campi di bat­ta­glia, le ragazze furono muti­late e infet­tate con la gan­grena gas­sosa per testare i far­maci che pote­vano essere effi­caci per i sol­dati. Le testi­mo­nianze degli espe­ri­menti sono det­ta­gliate. Una gio­vane polacca volle far sapere al mondo quello che stava acca­dendo gra­zie alla scrit­tura con un inchio­stro invi­si­bile usato a mar­gine delle let­tere indi­riz­zate alla fami­glia. Le mis­sive rag­giun­sero i parenti, in par­ti­co­lare una madre a capo di un gruppo di resi­stenza a Lublino che mandò le infor­ma­zioni alla Sve­zia che le girò a Lon­dra che, a sua volta, le inviò al comi­tato inter­na­zio­nale della croce rossa sviz­zera, che tut­ta­via le ignorò. Que­sto ebbe con­se­guenze ter­ri­bili. Dopo la fuga di noti­zie però nel campo fu deciso di ridurre gli esperimenti.
Il rac­conto delle effe­ra­tezze com­piute ai Raven­sbruck ha inse­gnato qual­cosa alle gene­ra­zioni future?
Vor­rei rispon­dere di sì, ma non posso. Molte delle donne inter­vi­state non ave­vano mai par­lato prima. Pen­sa­rono che la loro testi­mo­nianza fosse neces­sa­ria per impe­dire che la bar­ba­rie si ripe­tes­sero, ma non è stato così. Le con­ven­zioni di Gine­vra per la pro­te­zione dei civili sono con­ti­nua­mente igno­rate. Basti guar­dare a cosa accade in Siria, nes­suno si sta impe­gnando per pro­teg­gere la popo­la­zione, lo stesso è avve­nuto con i bom­bar­da­menti a Gaza l’estate scorsa. La mia impres­sione è che si stia regre­dendo e non si sia impa­rato nulla da ciò che è suc­cesso in passato.

Milena Jesenskà
Nel campo fini­rono donne con­si­de­rate arbi­tra­ria­mente peri­co­lose, deboli, reiette. Que­sto fa pen­sare che nes­suna possa dirsi mai al sicuro…
È vero, chiun­que potrebbe finire in un campo come quello. Il regime nazi­sta arre­stava donne di ogni estra­zione, ori­gine, nazio­na­lità e colore. C’erano con­tesse fran­cesi, senza fissa dimora, pro­sti­tute, espo­nenti della resi­stenza, donne dell’armata rossa, infer­miere. Molte scrit­trici, gior­na­li­ste, arti­ste, come Milena Jesen­skà, intel­let­tuale ceca che fu amante di Kafka. Oggi non viviamo sotto la minac­cia nazi­sta, ma biso­gna man­te­nere alta l’attenzione. Vivere in una demo­cra­zia, avere libertà di espres­sione, non mette al riparo da derive peri­co­lose, come non si può igno­rare ciò che ci accade intorno. La rea­liz­za­zione del libro è stato un pro­cesso lungo e lento, come met­tere insieme diversi tas­selli di un puzzle. Con­vi­vere con una sto­ria così ter­ri­bile per tanto tempo è stato pos­si­bile gra­zie agli incon­tri con per­sone che mi sono state di grande ispi­ra­zione. 

Opuscolo su donne e Resistenza

Uscito in formato opuscolo il lavoro di ricerca, documentazione sulle donne nella Resistenza antifascista.
L'opuscolo raccoglie i testi usciti on line dal 25 gennaio al 25 aprile 2016 e altri materiali non pubblicati, vista la lunghezza 
Per richiederlo: mfpr.naz@gmail.com

Una mattina mi son svegliata e ho trovato l’invasor… 
25 aprile 2016: 71° della Liberazione dal nazifascismo




LA RESISTENZA L'HA MOSTRATO: PER LE DONNE NON C'E' LIBERAZIONE SENZA RIVOLUZIONE

Lavoro di documentazione, ricerca sulle donne nella resistenza antifascista.
Un lavoro su ieri, per l’oggi!
a cura delle compagne del
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario


NUOVO BOLLETTINO INTERNAZIONALISTA DEL MFPR!

In questo Bollettino:

* Due importanti incontri internazionali del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario:

- con il Comitato Donne Rosse di Vienna AUSTRIA

- con il Movimento Femminino Popular (MFP) BRASILE

* Dedicato al dibattito:

Sul volantino dell'8 marzo dei Comitati Donne Rosse Amburgo e Vienna


 * Mobilitazione internazionalista del Mfpr:


Libertà per le prigioniere politiche in India e in tutto il mondo

Viva la compagna Chiang Ching


********

PER RICHIEDERE IL BOLLETTINO:
mfpr.naz@gmail.com

Su Chiang Ching e la rivoluzione culturale proletaria: un dibattito e un chiarimento necessario

Una compagna ci scrive:

«Compagne avete scritto: "Le donne lottarono contro la violenza sessuale organizzando comitati di quartiere in cui facevano processi popolari contro i mariti, padri violentatori; furono distribuite le pillole anticoncezionali tra le donne che potevano iniziare a decidere della propria vita e maternità…"
Ma scusate non è forse vero che il governo rivoluzionario ha imposto un drastico controllo delle nascite ponendo limiti sulla età di procreare e sul numero dei figli?
Bella la storia di questa donna rivoluzionaria ma forse quel dettaglio scritto così non risponde esattamente alla verità»

La risposta del MFPR:

C'è un errore di fondo. Si attribuisce al periodo della rivoluzione cinese e del potere effettivo del popolo cinese, con la direzione di Mao Tse Tung, una politica che invece è stata attuata dopo la morte di Mao Tse Tung (avvenuta nel 1976), nel fase della controrivoluzione che ha rovesciato il potere conquistato con la guerra popolare, cancellato progressivamente tutte le conquiste delle masse popolari, degli operai e in particolare delle donne, e avviato quella restaurazione capitalistica che via via ha portato oggi la Cina ad essere un paese imperialista.
La politica del "figlio unico" (con le conseguenze di aborti e sterilizzazione forzata, di infanticidio per le figlie femmine) è stata lanciata nel 1979 da Deng Xiao Ping, che prese il potere attaccando e ripudiando apertamente proprio la rivoluzione culturale proletaria in cui Chiang Ching aveva avuto un ruolo importante e che aveva via via rotto la maggiorparte delle terribili catene delle donne, anche quelle ideologiche. Deng Xiao Ping fu responsabile della lunga detenzione di Chiang Ching che la portò alla morte nel 14 maggio del 1991.
Questa politica del "figlio unico" era frutto della politica economica capitalista a cui la "nuova borghesia" aveva avviato la Cina, che guardava ai propri interessi non ai problemi delle masse; a fronte di questa politica furono anche ripristinati i vecchi privilegi esistenti prima della rivoluzione verso la discendenza maschile. 
Una politica, quindi, totalmente opposta e contro quella dell'epoca di Mao, in cui invece il paese aveva visto un incremento annuale della popolazione di quasi 30 milioni di persone, e in cui le donne erano considerate la "metà del cielo".
La rivoluzione cinese, la Repubblica popolare cinese, e in particolare la Rivoluzione Culturale proletaria, che chiama le masse a fare una rivoluzione nella rivoluzione per trasformare la terra e il cielo e afferma "ribellarsi e giusto!" per impedire che la nuova borghesia rossa, che già allora cercava di minare il potere effettivo delle masse proletarie e contadine, prendesse il potere nel partito e nella società, ha in pochi anni LIBERATO MILIONI DI DONNE, LE HA PORTATO A DIRIGERE LA SOCIETA'.
Pur in un grandissimo paese ancora con tradizioni feudali pesantissime per le donne, si sono avviate trasformazioni che neanche negli avanzati paesi occidentali c'erano ancora, vedi la politica della contraccezione; insieme a rivoluzioni avanzatissime in ogni ambito, dalla socializzazione del lavoro domestico, alla socializzazione delle funzioni materne, ecc. ecc.
In tutto questo è Chiang Ching che, al fianco di Mao Tse Tung e sostenuta da Mao, sostiene la rivoluzione nella rivoluzione, contro tutti coloro che cercavano in tutti i modi di attaccarla, di denigrarla. E' stata anche questa una lotta dura, che ha visto centinaia di milioni di donne, dalle città al più sperduto villaggio contadino, scendere in campo e liberarsi. E' stata una rivoluzione epocale, e soprattutto per le donne, che ci lascia oggi importanti insegnamenti su cosa anche nei nostri paesi deve significare una vera rivoluzione e una vera liberazione per le donne - Per questo, utilizzando bene il 50° anniversario della Rivoluzione culturale proletaria, noi continueremo a pubblicare note, articoli, su cosa è effettivamente stata, perchè essa serve oggi a noi tutte.
In tutto questo Chiang Ching non è solo "una donna rivoluzionaria", una delle tante grandi donne rivoluzionarie che ci sono state e ci sono nel mondo, ma è una compagna, dirigente comunista che ha avuto un ruolo decisivo, in uno dei paesi più immensi; che, insieme a Mao Tse Tung, ha stracciato le "bende che costringevano i piedi" (e non solo in senso fisico, ma chiaramente generale) delle donne - che da un giorno all'altro sono passate dall'oppressione più nera, alla felicità di essere libere e poter decidere; che ha avviato e messo in atto la novità "della rivoluzione nella rivoluzione", che dice che non bastava, e non basta, rovesciare con la rivoluzione il potere dei "mandarini" (come non basta rovesciare il potere borghese nei nostri paesi imperialisti), ma occorre continuare nel nuovo potere del proletariato e del popolo una rivoluzione che trasformi tutto, anche le vecchie e nuove opressioni ideologiche, patriarcali, per un'affettiva liberazione; che ha difeso fino alla sua morte/uccisione questo "assalto al cielo".
Per tutto questo diciamo che l'Mfpr è "figlia" di Chiang Ching!

21/05/16

Mamme in piazza per la libertà di dissenso

Appello per la Libertà di Dissenso, contro il carcere preventivo

Siamo le mamme delle ragazze e dei ragazzi di Torino sottoposti da diversi mesi a pesanti misure cautelari per aver partecipato a manifestazioni e iniziative antirazziste, antifasciste e in difesa del territorio.
Ci siamo riunite in gruppo «Mamme in piazza per il dissenso» per sostenere i nostri figli e le nostre figlie e denunciare la situazione di evidente ingiustizia che stanno vivendo. Vi preghiamo di leggere, diffondere e firmare il nostro appello. ( per firmare la petizione clicca qui)
Nella città di Torino, 28 ragazzi e ragazze sono, da molti mesi, sottoposti a misure cautelari preventive molto dure.
Non hanno rubato soldi pubblici, non hanno corrotto e non sono stati corrotti, non hanno cercato di trarre illeciti profitti personali, non hanno avvelenato l’aria con la polvere di amianto.
Hanno manifestato contro quel treno ad alta velocità Torino-Lione che saccheggia le risorse pubbliche per costruire un’opera utile solo ai suoi costruttori; hanno difeso le aule dell’università che frequentano dalla lugubre e incostituzionale presenza di fascisti torinesi, estranei – tra l’altro – a quelle aule; hanno tentato di sfilare in corteo per ricordare che una città medaglia d’oro alla Resistenza non può assistere in silenzio alla presenza arrogante di un partito xenofobo e razzista; hanno tentato di difendere il diritto all’abitare di famiglie travolte dalla crisi.
Non erano soli, a farlo. Nelle strade della Val di Susa come in quelle torinesi, nei quartieri popolari come nelle aule universitarie si è espresso un movimento vasto, multiforme e articolato, partecipato da migliaia di cittadini, che ha utilizzato, nell’espressione del dissenso, gli strumenti propri dei movimenti sociali: cortei, presidi, comunicazione.
Questi ragazzi e ragazze, parte di quel movimento, sono conosciuti per il loro impegno sociale che li porta a rivendicare diritti per tutti in una città, e in un Paese, dove sempre più sono garantiti privilegi per pochi e dove sempre meno è tollerato il dissenso.
Ebbene, questi ragazzi e queste ragazze sono stati sottoposti a misure molto dure: c’è chi non può più vivere a Torino, sua città di residenza, e chi non può uscire da Torino, neanche per andare a trovare i genitori; c’è chi deve recarsi quotidianamente a firmare in caserma e chi deve restare chiuso in casa dalla sera all’alba; infine ci sono gli “incarcerati in casa”, in stretto isolamento, costretti quindi alla perdita del lavoro, allontanati dalla frequentazione dei corsi universitari e impediti nel vivere i loro affetti.
Tutti privati, o fortemente limitati, nella loro libertà.
A questi ragazzi e a queste ragazze viene negato il diritto a studiare, il diritto a lavorare, il diritto a vivere una vita dignitosa insieme alle persone che amano, il diritto alla libertà personale: e tutto questo senza essere ancora stati sottoposti a giudizio. Puniti duramente, a dispetto della presunzione di innocenza, per intimorire loro e tutti quelli che potrebbero pensarla come loro. Puniti duramente per aver praticato il diritto a dissentire.
Come genitori, amici, cittadini ci chiediamo se non si sia creato, nella città di Torino, un corto circuito pericoloso volto, di fatto, a limitare libertà fondamentali dei cittadini, quali il diritto costituzionalmente garantito a manifestare.
Un corto circuito che ha come presupposto la pesante militarizzazione di piazze e spazi, quali ad esempio quelli universitari, in occasione di manifestazioni pubblicamente convocate; che prosegue poi in indagini che appaiono pilotate per sfociare in imputazioni sempre molto più gravi del necessario, formulate proprio per rendere possibile – non obbligatoria comunque – la detenzione preventiva e indirizzare la strada verso potenziali condanne. Un corto circuito che si nutre della “apparente” decontestualizzazione degli eventi per ridurre le tensioni e le rivendicazioni sociali a fattispecie criminali da perseguire: “apparente” perché non può non sorgere il dubbio che la volontà di vessare e punire sia correlata proprio alle ragioni politiche e sociali che motivano l’agire di questi ragazzi e ragazze. Da cui la scelta di forzare le norme e attuare la massima possibile punizione preventiva: ci troviamo davanti al paradosso di detenzioni preventive che equivalgono o superano le abituali condanne, laddove ci fossero, normalmente comminate per quel tipo di reati.
Come genitori, amici, cittadini riteniamo che il ritiro delle misure cautelari preventive per tutte e tutti sia il primo, indispensabile passo per interrompere questo corto circuito e ristabilire il diritto al dissenso.

Mamme in piazza per la libertà di dissenso.

Primi firmatari:
Maria madre di Damiano – Milena madre di Costanza – Giulia madre di Valeria – Marta madre di Valeria – Paola madre di Francesco – Lorena madre di Nicola – Valeria madre di Luca e Umberto –Angela madre di Selene – Diana madre di Jacopo – Luisella madre di Daniele – Chiara per Cecca – Giulia madre di Davide – Adriana madre di Zeno – Teresa madre di Stella – Roberta madre di Eddi
Haidi Giuliani – Comitato Madri per Roma Città Aperta – Stefania Zuccari madre di Renato Biagetti – Ludovica Rosci sorella di Davide Rosci – Rosa Piro mamma di Dax – Germana Villetti – Lina Sortino – Stefania Fattori – Teresa Barile – Gabriella Spada – Fabiola Schneider – Patrizia Stocchi – Gloria Navarra Stella Sassone – Carla Dovini – Giorgio Cremaschi – Francesca Frediani – Ugo Mattei

20/05/16

CONTRO LE STRUMENTALIZZAZIONI - ROMA, corteo contro i tentativi di utilizzare per scopi elettorali fatti drammatici come uno stupro.

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/05/20/oggi-a-romamanifestazione-femminista/

Alcuni giorni fa in via Teano, nel quartiere Penestino, si è consumato uno stupro. Secondo uno schema ormai consolidato, e che si ripete di continuo ma in particolare in prossimità delle scadenza elettorali, Casapound e altre formazioni di destra hanno provato a strumentalizzare questo gravissimo episodio. In vista delle prossime elezioni comunali e soffiando sul fuoco dell’odio e del razzismo, agitando richieste securitarie e liberticide. Ma le donne del quartiere e della città non ci stanno e convocano un corteo per urlare che “la violenza contro le donne la fanno gli uomini, non ha confini, non ha passaporto, non ha classe”.
 
L’appello alla mobilitazione:

Unite per gridare

La violenza contro le donne la fanno gli uomini

Non ha confini, non ha passaporto, non ha classe.

Per la nostra libertà e autodeterminazione

Dopo lo stupro di una donna avvenuto pochi giorni fa nei pressi di via Teano e il vile tentativo di strumentalizzarlo a fini razzisti e securitari, scendiamo in strada per esprimere la nostra solidarietà a lei e tutte le donne che hanno subito e subiscono violenza ogni giorno nelle case, nei posti di lavoro, nelle strade, nei C.I.E. e in ogni dove.

La violenza maschile contro le donne è sistemica, le offende, le molesta, le percuote, le stupra, le tratta come oggetti identificandole esclusivamente nelle funzioni sessuale e riproduttiva. È la violenza del femminicidio e colpisce tutte.

Mentre politica e istituzioni sbandierano slogan a difesa delle donne, si rende di fatto inapplicabile la legge sull’aborto, si chiudono i consultori e si tagliano i fondi ai centri antiviolenza, si precarizzano le vite.

Il corpo delle donne strumentalizzato e abusato, è da sempre terreno di conquista economica, politica e sociale.

La violenza maschile non è un’emergenza, come vorrebbero farci credere per approvare leggi come il pacchetto sicurezza: è strutturale e quotidiana. Le strumentalizzazioni securitarie sono un’ulteriore violenza contro le donne perché spostano l’attenzione dissimulando un problema molto più profondo: il patriarcato.

L’obiettivo è sempre lo stesso: il controllo sul corpo delle donne agito da uomini che, sia che propagandino una fede sia che indossino una divisa, vorrebbero privarci della nostra autodeterminazione.

Nessuna delega: la prima parola e l’ultima sul corpo delle donne è delle donne.

Le strade libere le fanno le donne che l’attraversano.

Rivendichiamo l’autodifesa e la solidarietà femminista.

CORTEO DI DONNE VENERDÍ 20 MAGGIO ORE 18 DA LARGO AGOSTA

Femministe antifasciste e antirazziste

CEI ipocrisie sull'utero in affitto - alcune note del MFPR

LA CEI, CONTRO LA LEGGE SULLE UNIONI CIVILI, FA TORNARE LA QUESTIONE DELL'UTERI IN AFFITTO, MA CON MOTIVAZIONI STRUMENTALI E FALSATE - RIPUBBLICHIAMO SULL'ARGOMENTO LA POSIZIONE DEL MFPR
"Bagnasco contro la legge sulle unioni civili: "Il colpo finale sarà l'utero in affitto". Il presidente della Cei apre l'assemblea dei vescovi e dice che si "sfrutta il corpo femminile profittando di condizioni di povertà". ecc. ecc.

MA FACCIAMO CHIAREZZA CONTRO IPOCRISIE E STRUMENTALIZZAZIONI...

 1) Denunciamo e lottiamo contro la campagna di destra, fascista, integralista portata avanti dalla Lega di Salvini, dal Ncd, dai partiti di centro destra, dalla Chiesa, in generale dall'area del 'Family day'.
Questi partiti, forze, esponenti denunciano la maternità surrogata in nome di posizioni e concezioni di destra, familiste, del ruolo della donna come riproduttrice al servizio della "sacra famiglia: donna, uomo, bambino" e del sistema del capitale.
Sono contro l'utero in affitto con la stessa ideologia reazionaria, cattolico-integralista con cui sono contro il diritto d'aborto, la maternità come scelta della donna, la fecondazione artificiale, ecc.
Come sempre - vedi unioni civili e adozione del figlio del partner - coprono queste posizioni con la squallida ipocrisia sui bambini, sulla famiglia, che è diventata il luogo più pericoloso per le donne e i bambini.
Gli esponenti di queste forze, i preti, che ora alzano alte grida contro “l'utero in affitto”, contro l'uso del corpo delle donne povere, sono i primi che sfruttano spesso i corpi delle donne, fino alle bambine, col turismo sessuale.
QUESTO OGGI E' IL PRIMO FRONTE DI LOTTA DEL MOVIMENTO DELLE DONNE, la principale contraddizione antagonista sulla questione dei diritti delle donne.
Non si può prendere posizione contro la maternità surrogata senza schierarsi e lottare contro questa crociata da moderno medioevo, che è contro le donne, prima di tutto.
Il M5S lo collochiamo in questo fronte, per le posizioni ambigue, ma come risultato a sostegno di quelle della destra, già prese sulla questione adozioni nelle coppie omosessuali.

2) Il governo Renzi, il PD è parte ed effettivo regista di questo fronte. Renzi e le sue ministre hanno "giurato" ai loro compagni di merende che non vogliono parlare della "maternità surrogata", ma questo non c'entra nulla col rispetto del corpo delle donne e dei diritti delle donne. Visto che nel silenzio il 15 gennaio scorso, è passata una maxi multa alle donne che abortiscono fuori dalle strutture pubbliche, che va da 5 a 10mila euro, e che evidentemente colpirà tantissime donne, spesso le più povere, che sono costrette ad abortire negli studi privati, perchè l'obiezione di coscienza arriva, soprattutto al sud, anche al 90%. Visto come stanno peggiorando, col jobs act, i licenziamenti, la disoccupazione, le permanenti discriminazioni, il peggioramento dei servizi sociali, le condizioni di vita e di lavoro della maggioranza delle donne.

3) E' evidente che la maternità surrogata nella grande maggioranza dei casi è sfruttamento violento del corpo delle donne. E' espressione di una inaccettabile disparità, che è soprattutto di classe. In generale si tratta di un rapporto mercificato: c'è chi compra perchè ha i soldi, c'è chi vende perchè ha bisogno di soldi. Non lo chiede chiunque a una donna di fare un bambino, lo fa chi lo può chiedere perchè ha soldi.
Quindi non è affatto un rapporto di volontà alla pari. Non ci può essere in un sistema sociale basato sulla divisione in classi. Non ci può essere in un sistema in cui le donne sono condizionate e oppresse nel loro ruolo riproduttivo. E, in ogni caso, anche in una relazione non costrittiva, il “proprietario” del futuro bambino e la donna stanno inevitabilmente su due piani diversi: chi ha deciso, chi pone le condizioni, è chi vuole utilizzare l'utero di un'altra donna.
Nessuno può negare che la stragrande maggioranza delle maternità surrogate avvengono sfruttando la povertà delle donne, e soprattutto delle donne dei paesi del terzo mondo da parte di coppie o persone singoli dei paesi imperialisti – mettendo in luce, anche su questo. il rapporto di dominio, di oppressione, di rapina da parte dei paesi imperialisti verso le popolazioni dei paesi dipendenti. Nessuno può nascondere che su questo vi è una vera e propria industria, in cui le donne sono la forza-lavoro produttiva di una merce particolare: i bambini. Come scrive Bia Sarasini su Il Manifesto: “...i paesi asiatici, come l'India o il Nepal, sono una terra di predazione, fino al confinamento delle gestanti in cliniche che assomigliano a reclusori, per garantirsi la perfezione delle creature che devono nascere (se poi non piace, il bambino viene rifiutato). Sfruttamento, riduzione in schiavitù, vendita del corpo o pezzi di corpo”.
Questo, pone necessariamente l'obbligo di dire NO all'utero in affitto.
Coloro che parlano di “libera volontà”, che fanno mille distinguo, vogliono nascondere la realtà concreta, il fatto, materialistico, che finchè ci sono le classi, finchè c'è l'imperialismo e le popolazioni schiacciate da esso, finchè le donne, in qualsiasi latitudine del mondo, sono doppiamente sfruttate e oppresse, parlare di libertà è fare dello “spirito ad un funerale”, è voler dipingere di rosa, ma solo per sé, le tendine di un mega carcere in cui, più questo sistema sociale va avanti e più anche nei paesi cosiddetti “civili” le donne sono ricacciate a 50 anni indietro.

14/05/16

ONORE ALLA COMPAGNA CHIANG CHING NEL 50° ANNIVERSARIO DELLA GRANDE RIVOLUZIONE CULTURALE PROLETARIA


LA RIVOLUZIONE NELLA RIVOLUZIONE
 DI UNA DONNA COMUNISTA



RIPORTIAMO UNO STRALCIO DEL TESTO CONTENUTO NEL VIDEO "Onore alla compagna Chiang Ching nel 50° anniversario della rivoluzione culturale proletaria - La rivoluzione nella rivoluzione di una donna comunista"

"...grande fu l'impegno di Chiang Ching sulla questione delle donne per svilupparne la lotta per una reale liberazione dall’oppressione familiare e sociale.
Dalle operaie alle contadine, milioni di donne, l’altra metà del cielo come affermava Mao, hanno contribuito attivamente alla GRCP avendo nella compagna Chiang Chingh una decisiva guida. Chiang Ching ha rappresentato l’incarnazione ideologica e pratica della concezione che afferma che è necessario scatenare la “rivoluzione nella rivoluzione" per la piena affermazione del ruolo delle donne nella trasformazione reale e profonda della società… non basta, infatti, una rivoluzione che rovesci il potere della borghesia e instauri il potere proletario, socialista… occorre ancora una “rivoluzione nella rivoluzione” per rovesciare la terra ma anche il cielo, il cielo delle idee, delle concezioni feudali e patriarcali che sono dure a morire, dei vecchi rapporti sociali fino ai rapporti tra uomo e donna… La GRCP è stata l’esperienza più moderna del proletariato, che ha indicato come portare una lotta rivoluzionaria in ogni ambito, non solo della struttura ma anche della sovrastruttura. Le donne cinesi, nonostante i cambiamenti sociali già acquisiti durante gli anni precedenti, vedi l’ingresso massiccio nel mondo del lavoro, nelle fabbriche, la riforma della legge sul matrimonio, la riforma del sistema d’istruzione, vedi i corsi di istruzione gratuita per le contadine, la riforma agraria… che portarono più diritti per le donne, nella RCP per prima cosa dovettero battersi per esempio contro i tentativi revisionisti di Liu Shao qi di estrometterle dal lavoro e relegarle di nuovo nel lavoro domestico… Le donne lottarono contro la violenza sessuale organizzando comitati di quartiere in cui facevano processi popolari contro i mariti, padri violentatori; furono distribuite le pillole anticoncezionali tra le donne che potevano iniziare decidere a della propria vita e maternità…

In tutto questo fermento rivoluzionario Chiang Ching è stata sempre per le donne un solido punto di riferimento ed esempio vero che solo partecipando alla rivoluzione in prima persona le donne possono emanciparsi, portare la rivoluzione a tutti i livelli...
Oggi, a 50 anni dalla GRCP, come Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario riaffermiamo con forza di essere figlie ed eredi dell’esperienza rivoluzionaria di Chiang Ching. Essa è testimonianza del chiaro riferimento rivoluzionario interno al movimento comunista marxista leninista maoista che il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario ha assunto fin dall'inizio della sua esistenza – il primo collettivo del Mfpr nato a Palermo fu chiamato “Chiang Ching”.

Nel percorso non facile ma entusiasmante della lotta rivoluzionaria, affinché la maggioranza delle donne si liberi dalla doppia oppressione, di classe e di genere, prodotta da questo sistema capitalista, che non può essere riformato ma solo rovesciato, guardiamo a Chiang Ching e alla RCP che ci indicano come la rivoluzione è monca se non si sviluppa una “rivoluzione nella rivoluzione” necessaria, per spezzare tutte le catene economiche e ideologiche del sistema borghese che fa dell’oppressione delle donne una base per la sua esistenza.

Ma questi insegnamenti vanno applicati già oggi e ad ogni stadio sia della battaglia esterna volta alla conquista delle donne, delle proletarie alla lotta rivoluzionaria per “scatenare la ribellione delle donne come forza poderosa per la rivoluzione”, sia nella battaglia per la costruzione del partito comunista di tipo nuovo in cui le compagne devono lottare in ogni ambito, anche nel partito, il permanere di concezioni borghesi, maschiliste…

Chiang Ching, la sua vita di compagna e donna comunista in questo senso è uno splendido faro che illumina il nostro doppio cammino rivoluzionario.
W la compagna Chiang Ching

W il 50° anniversario della GRCP

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

14 maggio 2016

09/05/16

Onore e gloria alla compagna Anuradha Ghandy

Kobad Ghandy, uno dei leader più importanti del PCI (maoista), ricorda la moglie e compagna Anuradha Ghandy, l'unica donna nel comitato centrale PCI (maoista), morta nell'aprile del 2008 da malaria cerebrale.

La vita di Anu preso ha attraversato molte strade. Era una brillante studentessa della scuola, dove l'atmosfera progressista e democratica della sua famiglia ha giocato un ruolo chiave nella sua formazione. È all'università che è diventata una militante e leader studentesca. Nel periodo dopo lo stato di emergenza, essendo allora diventata docente, era diventata una delle principali attiviste per i diritti umani nel paese. Dopo essersi trasferita a Nagpur nei primi anni ‘80, è diventata non solo in tutta l'India il volto del movimento culturale rivoluzionario a Nagpur/Vidarbha, ma nel suo lavoro di professore di sociologia, è diventata una leader sindacale riconosciuta. Ha diretto lotte dei lavoratori ed è persino andata in prigione diverse volte. Inoltre, è diventata una figura popolare nel movimento delle donne nella regione. Con questo, ha avuto anche un profondo impatto sull’intellighenzia - insegnanti, studenti, avvocati, scrittori e attivisti sociali – di Nagpur e Vidarbha. Ma ancora più importante è stato il suo impatto decisivo sul movimento Dalit a Vidarbha, in particolare a Nagpur.
 
Kobad Ghandy è uno dei maggiori leader del PCI (Maoista). Arrestato a Delhi nel mese di settembre, Ghandy è attualmente detenuto nel settore di alta sicurezza del carcere di Tihar. Era sposato con Anuradha Ghandy, membro e dirigente nel comitato centrale del PCI (Maoista). Lei è morta nel mese di aprile 2008, di malaria cerebrale. In questo articolo scritto per Open, egli scrive.
"Il 12 aprile del 2008, una bella vita si è improvvisamente spenta. Anuradha Ghandy è morta prematuramente all'età di 54 anni a causa del riconoscimento tardivo di una malattia mortale, la malaria falciparum. Quel giorno, gli indiani, in particolare le loro donne oppresse, hanno perso un fiore che diffonde il suo profumo in molte parti del paese. Due anni sono un lungo periodo di tempo, ma la fragranza aleggia ancora. L'odore dolce, come quello di un fiore eterno inebria l’animo con i ricordi del suo spirito vivace e amorevole. Anche qui nella cella di alta sicurezza del carcere di Tihar, i cinque gruppi di sbarre in cui siamo imprigionati non possono spegnere l'aroma di Anu che irraggia nella memoria di tutti. Il dolore che soffriamo qui sembra così insignificante rispetto a quello che lei ha dovuto affrontare in quel fatidico giorno.

Ricordo il primo giorno che l'ho incontrata a metà del 1972. La splendente luminosità che emanava dal suo viso infantile non si è mai sbiadita in tutti gli anni tortuosi di lotta e di grande sacrificio. Lo stesso spirito frizzante, lo stesso slancio e lo stesso spirito vivo ed energico della gioventù, sono rimasti fino alla fine.
La purezza della sua anima e il suo profondo impegno verso gli oppressi non hanno mai permesso alle difficoltà, fisiche o mentali, di abbatterla. Ecco perché l’usura della vita non poteva spegnere la sua giovinezza ed esuberanza. È stata solo la micidiale sclerosi sistemica incurabile che l’ha colpita nel 2002, che ha portato ad un tratto al suo invecchiamento.
Anche se il suo volto era diventato pallido, non ha mai permesso alla malattia di distruggere il suo spirito. Il fuoco di una vita intera, al servizio del paese e del suo popolo, non è diminuito, neanche di una virgola. Fino al suo ultimo giorno, dalle sei del mattino fino a mezzanotte, era costantemente in movimento - per incontrare la gente, viaggiare, leggere, scrivere e anche cucinando e facendo le pulizie. Anche se la malattia ha lentamente mangiato i suoi organi - polmoni, reni, cuore e paralizzato le dita, Anu non conosceva riposo. Costringeva perfino le sue ginocchia artritiche, che diventavano sempre più dolorose a salire le scale, e a camminare per giorni nelle foreste, stando spesso in piedi tutto il giorno.
Era la volontà? Era l’impegno? La sua stanchezza, il suo dolore, non li ha mai mostrati sul suo volto; lei non si lamentava mai. E chi la incontrava non poteva rendersi conto di che cosa stava attraversando.Con la sua precisa conoscenza della questione Dalit/casta e il suo ampio studio degli scritti di Ambedkar, era in grado di sfidare efficacemente la direzione Dalit profondamente radicata fornendo una interpretazione scientifica e marxista della questione. Con Nagpur, il centro del movimento dalit, verso cui ci siamo trasferiti era Indora - il più grande bastione dalit nel Maharashtra. Il suo impatto sui giovani dalit era enorme e lei è diventata ospite regolare nella maggior parte delle conferenze dalit.
La gente di Nagpur si ricorda con emozione di questa importante professoressa, che soggiornava in un bastione Dalit, e si spostava in bicicletta per la città sotto il famoso sole di piombo di Nagpur.
Dopo Nagpur/Vidarbha, Anu è andata a lavorare tra la gente delle tribù più remote che vivono nella foresta, in mezzo a loro, condividendo le loro gioie e le loro disgrazie. E, infine, nei suoi ultimi sei-otto anni, si è concentrata sulle donne oppresse del nostro paese, educandole e svegliandole per la loro emancipazione e liberazione dalla povertà.
Attraverso tutti questi alti e bassi, a volte siamo stati insieme, ma spesso separati per mesi. Tuttavia, i momenti che abbiamo passato insieme sono stati i periodi nella mia vita che ho più cari. Il suo pensiero amichevole e indipendente, mi ha portato un grande aiuto nella comprensione razionale degli eventi, del popolo e dei problemi. Non ci sono state altre persone con le quali ho avuto tanti dibattiti appassionati. Questo ha dato un equilibrio alle mie opinioni, spesso unilaterali.
Anuradha aveva la rara capacità di coniugare l'attivismo con la capacità teorica. Nonostante le sue attività giorno e notte, lei era una lettrice vorace e scrittrice prolifica – scriveva in inglese, hindi e marathi. Anche se ha scritto su molti argomenti, i suoi scritti sulla questione dalit/casta e sulle questioni femminili sono stati importanti contributi alla comprensione scientifica di questi due importanti aspetti sociali dell'India.
Ma ciò di cui la maggior parte più si ricorderà di Anu è il suo bel carattere. In un'epoca in cui il comunismo è degenerato in tutto il mondo - Russia, Cina, Europa orientale erano crollate, e la maggior parte degli altri partiti degenerati - il carattere di Anuradha è rimasto ideale. Là dove il potere, anche a bassi livelli, tende a corrompere; dove l'ego, l'interesse personale e la voglia di dirigere/essere famosi divora le viscere di molti movimenti, Anu era esemplare. È rimasta la stessa da quando era diventata un quadro regolare a quando è diventata una figura ben nota e una grande leader.anuradha4
La stessa semplicità, la stessa correttezza, la stessa innocenza infantile. Il suo volto era un riflesso delle sue emozioni - incapace di mentire, di manipolare gli altri o di impegnarsi in intrighi. Inoltre, la sua capacità di legarsi con tutti – dal più semplice tribale ai più grandi intellettuali - è in effetti leggendaria. Anu aveva la bellezza dell’innocenza, pur mantenendo l’acutezza dell’intelligenza e l'energia di una professionista. È questa combinazione che dà ad Anuradha il suo profumo eterno


Anuradha Ghandy maoïste indienne