18/09/15

Contro il 41 bis nei confronti delle prigioniere e prigionieri politici rivoluzionari, scateniamo la cultura!

Appello per la campagna
"PAGINE CONTRO LA TORTURA”
Circa il divieto di ricevere dall’esterno libri e stampe d’ogni genere  nelle sezioni 41bis
Nel tempo le istituzioni hanno allevato funzionari che ritengono naturale questo sistema di barbarie. Quando si eleva il meccanismo della mostrificazione a ’normale’ strumento di repressione, la tortura di varia natura diventa burocrazia quotidiana”. (Da una lettera di un detenuto rinchiuso nel nuovo carcere di Massama, Oristano, giugno 2015).
Da alcuni mesi chi è sottoposto al regime previsto dall’art. 41bis dell’ordinamento penitenziario (o.p.) non può più ricevere libri, né qualsiasi altra forma di stampa, attraverso la corrispondenza e i colloqui sia con parenti sia con avvocati: i libri e la stampa in genere si possono solo acquistare tramite autorizzazione dell’amministrazione. È un’ulteriore censura, una potenziale forma di ricatto, in aggiunta alle restrizioni sul numero di libri che è consentito tenere in cella: solo tre....
Il regime di 41bis è il punto più rigido della scala del trattamento differenziato che regola il sistema carcerario italiano.
In questa condizione detentiva ci sono oggi ben oltre 700 prigionieri e prigioniere, fra i quali una compagna e due compagni rivoluzionari, trasferiti in queste sezioni da dieci anni. Il 41bis è attualmente in vigore in una decina di sezioni all’interno di carceri sparse in tutt’Italia: Cuneo, Novara, Parma, Opera-Milano, Tolmezzo-Udine, Ascoli Piceno, Viterbo, Secondigliano-Napoli, Terni, Spoleto, L’Aquila, Rebibbia-Roma, Bancali-Sassari (entrata in funzione all’inizio di luglio 2015).

Il 41bis prevede:
– isolamento per 23 ore al giorno (soltanto nell’ora d’aria è possibile incontrare altri/e prigionieri/e, comunque al massimo tre, e solo con questi è possibile parlare);
– colloquio con i soli familiari diretti (un’ora al mese) che impedisce per mezzo di vetri, telecamere e citofoni ogni contatto diretto;
– esclusione a priori dall’accesso ai “benefici”;
– utilizzo dei Gruppi Operativi Mobili (GOM), il gruppo speciale della polizia penitenziaria, tristemente conosciuto per i pestaggi nelle carceri e per i massacri compiuti a Genova nel 2001;
– “processo in videoconferenza”: l’imputato/a detenuto/a segue il processo da solo/a in una cella attrezzata del carcere, tramite un collegamento video gestito a discrezione da giudici, pm, forze dell’ordine, quindi privato/a della possibilità di essere in aula;
– la censura-restringimento nella consegna di posta, stampe, libri.
Questa tortura quotidiana è finalizzata a strappare una “collaborazione”, cioè a costringere, chi la subisce, alla delazione. Nessun fine, quindi, legato alla sicurezza quanto piuttosto all’annientamento dell’identità e personalità. Ciò è ancora una volta dimostrato attraverso l’applicazione di quest’ultima ennesima restrizione, visto che leggere e scrivere rappresenta  da sempre l’unica forma di resistenza alla deprivazione sensoriale a cui sono quotidianamente sottoposti tutti e tutte le detenute.
Le leggi e le norme di natura emergenziale, col passare del tempo, si estendono cosicché ogni restrizione adottata nelle sezioni a 41bis prima o poi, con nomi e forme diverse, penetra nelle sezioni dell’Alta Sicurezza e in quelle “comuni”, contro chi osa alzare la testa.
Lo dimostra la generalizzazione di norme “trattamentali” eccezionali, quali per esempio: l’uso massiccio dell’isolamento punitivo disposto dall’art. 14bis o.p. (*), che può essere prorogato anche per parecchi mesi consecutivi, in “celle lisce” e spesso isolate all’interno dell’istituto; o la “collaborazione” (di fatto) quale condizione essenziale per poter accedere a un minimo di possibilità “trattamentali” (socialità, scuola, lavoro); oppure la censura (di fatto) della corrispondenza e la limitazione del numero di libri o vestiti che è possibile tenere in cella.
Una società che sottostà al ricatto della perenne emergenza, alimentata da banalizzazioni ed allarmismi, si rende consenziente alle vessazioni e torture di cui il blocco dei libri è solo l’ultimo, più recente tassello. Individuiamo nel Dap il diretto responsabile e l’obbiettivo verso cui indirizzare le proteste: D.A.P. – Largo Luigi Daga n. 2 – 00164 Roma; centralino: 06 665911; Ufficio detenuti alta sicurezza mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. telefono: 06 665911 fax: 0666156475. Tartassiamoli di telefonate, email, cartoline…e chi più ne ha, più ne metta! Chiediamogli conto di quanto hanno messo in pratica!
È altresì importante promuovere una campagna di sensibilizzazione e iniziativa di tutte e tutti coloro che operano nel mondo della cultura: librerie, case editrici, di appassionati/e della lettura, scrittori e scrittrici, viaggiatori tra le pagine, ecc., volta al ritiro del vessatorio divieto di ricevere libri.
In particolare, al fine di fare pressione sulle autorità competenti ed estendere la solidarietà, invitiamo tutte le realtà a spedire cataloghi, libri, riviste, ecc, presso le biblioteche delle carceri in cui sono presenti le sezioni a 41bis e ai detenuti e alle detenute che di volta in volta ne faranno richiesta. Informazioni utili allo sviluppo della campagna si trovano in rete a questo indirizzo: http://paginecontrolatortura.noblogs.org/ . Il blog servirà da strumento di aggiornamento, coordinamento e documentazione. Chiunque aderirà alla campagna, per esempio con la spedizione di libri, ma anche con iniziative autonome, sarà bene che lo comunichi al seguente indirizzo di posta elettronica, cosicché sarà più semplice avere il polso della situazione su ciò che si sta, o meno, muovendo: INDIRIZZO DI POSTA DA APRIRE
Un’esperienza simile fu fatta nel 2005, quando l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli limitò il numero di libri tenibili in cella, nella sezione a “Elevato Indice di Vigilanza” (equivalente all’attuale “Alta Sicurezza 2”) del carcere di Biella. Grazie alla campagna “Un libro in più di Castelli” si sviluppò un’intensa attività che interessò numerose città italiane, basata sulla raccolta e la spedizione di libri nel carcere piemontese, che sfociò in una partecipata manifestazione sotto le sue mura. La limitazione dei libri fu infine ritirata.
Quest’appello vuole essere diretto e ampio, tanto quanto reclama la libertà, la lotta per viverla, nemica di ogni forma di prevaricazione e sfruttamento.
Il carcere non è la soluzione, ma parte del problema.

Sommergiamo di libri le carceri, evitiamo che si metta in catene la cultura! CAMPAGNA “PAGINE CONTRO LA TORTURA”

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