21/05/15

Mattarella: “Leggere rende liberi”. Ma al carcere di L'Aquila, le detenute in 41 bis non possono farlo

E le guardie non vogliono. Nella circolare del DAP si dispone infatti, tra le altre cose, che:

sia vietato l’accumulo di un numero eccessivo di testi, anche al fine di agevolare le operazioni di perquisizione ordinaria

Di seguito l'articolo integrale di Simonetta Zandiri:


Leggere rende liberi solo se si è tutti liberi di leggere.


Inaugurando a Torino il Salone del Libro il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ribadito l’importanza e “la ricchezza dei testi e della lettura: leggere non è solo una ricchezza privata, ma un bene comune, ossigeno per le coscienze. La lettura è una porta sul mondo, leggere ha a che fare con la libertà e con la speranza».
Una porta aperta per molti che non la oltrepassano, ma chiusa, insieme alla speranza, a chi è sottoposto al regime carcerario 41bis. Ad oggi si contano circa 700 persone chiuse in sezioni speciali e da alcuni mesi in maniera definitiva non possono più ricevere libri, qualsiasi forma di stampa, attraverso la corrispondenza e neanche attraverso i colloqui, che siano con parenti o con avvocati. Questo a seguito di una circolare del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) inviata nel novembre 2011.  Le persone sottoposte al 41bis possono acquistare libri solo per il tramite dei carcerieri che difficilmente si metteranno alla ricerca di libri specifici, un altro duro colpo alla libertà che già si aggiunge all’assurdo limite imposto alla quantità di libri che è consentito tenere in cella: soltanto tre.
Se, quindi, leggere ha a che fare con la speranza, limitare la lettura o vincolarla al “consenso” del carceriere equivale a togliere, oltre alla libertà, anche la speranza, è degrandante quanto inaccettabile, al pari dell’impiego della videoconferenza nei processi.
In un crescente manettarismo questo paese sta perdendo completamente il senso di umanità, spinto da flussi deformati di pseudo-informazioni che alimentano e fomentano odio contro inesistenti nemici, riservando invece cordiali rimproveri a quella classe che detiene il potere e quotidianamente ne abusa. Accettare che venga consentita una carcerazione in queste condizioni è facile perché rimbalzando da una delega all’altra ci si può autoassolvere, la tortura delegata al sistema, “la giusta punizione”, ci hanno convinto di questo, e quando un disperato arriva al suicidio ecco il popolo pronto a gridare in coro “uno di meno”. Come ci abbiano portato fino a questo punto non mi è chiaro ma so per certo che restare ancora indifferenti non farà che aumentare il livello di tortura perpetrato nelle carceri, ben lontano dalla nostra vista, e da quel che resta della nostra coscienza.
Nel leggere alcune delle impugnazioni dei giudici di sorveglianza ecco una motivazione che denota straordinaria creatività: “sia vietato l’accumulo di un numero eccessivo di testi, anche al fine di agevolare le operazioni di perquisizione ordinaria”. Certo, non hanno tempo da perdere a sfogliare libri, loro, hanno già in mano il manganello, che pretese. Non manca la generosità, lo Stato comprende le esigenze dei detenuti ed ecco che consente la detenzione, nella propria cella, di “un codice penale, un testo religioso ed un dizionario”. Si può volere qualcosa di più?
 

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