27/03/15

Sul carcere femminile di L'Aquila, le donne devono farsi sentire!

La redazione di www.Abruzzo 24h Tv ha pubblicato una denuncia di Giulio Petrilli, ripresa anche da Il Manifesto, sulla sezione speciale femminile del carcere Costarelle L'Aquila, dove è detenuta Nadia Lioce. Qui tra le altre cose dice: "Isolamento totale, perquisizioni corporali quando si esce dalla cella nell'unica ora quotidiana. Totale divieto di comunicare tra detenute. Un bunker nemmeno paragonabile a Guantanamo come spazi, con celle due metri per due. Spazio per l'aria tre metri per tre senza mai sole. Il sole non esiste piu'.
Due libri al mese, due soli quadern
i per poter scrivere. Corrispondenza con l'esterno praticamente inesistente, visto la forte censura. Condizioni che ledono completamente i diritti umani.
Ma le donne democratiche della mia città dove sono? Ma non solo loro, anche gli uomini e non solo nella mia città perchè è un problema nazionale. Tutto tace, tutti girano la testa dall'altra parte. La sezione femminile del carcere speciale de L'Aquila, ha condizioni di gran lunga peggiori dellesezioni a 41bis e credo che questo dimostri che e' l'unico carcere femminile al mondo cosi' duro. La tortura di per sé è un fenomeno incredibile, ma applicato nella detenzione delle donne, nel silenzio quasi totale, ha dell'incredibile".

Da L'Aquila alla redazione di Abruzzo 24h Tv:
Vorrei segnalare a questa redazione, che un appello per difendere la vita della prigioniera politica Nadia Lioce è partito proprio delle donne, in particolare dalle donne proletarie del mfpr.
Nadia Lioce infatti è stata sottoposta a un ulteriore inasprimento delle condizioni detentive dal 29 novembre 2014 solo e in quanto prigioniera politica coerente con le sue scelte di lotta. E al di là di là del del giudizio su queste ultime, noi, come donne proletarie riteniamo profondamente ingiusto che Nadia venga ancora sottoposta a un regime di detenzione durissimo solo perché donna e rivoluzionaria.
Come donne proletarie subiamo continuamente un doppio attacco, di genere e di classe, alle nostre condizioni di vita. Questo attacco, legittimato dallo Stato e dalle istituzioni al servizio del sistema capitalistico e non certo della libertà e della autodeterminazione delle donne proletarie e del popolo (vedi Jobd act, la "buona scuola" dei padroni, la legge Lupi contro le donne e le famiglie senza casa né reddito ecc.), rivela anche nelle carceri italiane la duplice oppressione, di genere e di classe di questo sistema da moderno medioevo, che per sopravvivere inasprisce ulteriormente la guerra ai più deboli.
Nell'articolo da voi pubblicato, Giulio Petrilli si chiede dove siano le donne democratiche della sua città. Io invece mi chiedo se ci siano ancora delle donne e degli uomini sinceramente democratici, in una città e in un paese che di democrazia non ha più niente. Ma su questo aspetto troppo ci sarebbe da dire su i vari mandanti di un massacro sociale in atto già da tempo ma che qui a L'Aquila si è sempre cercato di tenere nascosto con il pretesto dell'emergenza "terremoto". Ma ora che l'emergenza terremoto è finita guardiamoci in faccia e vediamo chi sono i sinceri democratici.
Luigia De Biasi, mfpr, disoccupata dello Slai Cobas per il sindacato di classe (AQ)

Da Tavolo 4:
Davvero inumano, esprimo tutta la mia solidarietà  alle donne condannate e recluse che sono ripetutamente e sistematicamente  isolate e impedite a vivere  dai brutali sistemi carcerari che sono prima ancora che incivili disumani.
Pia Covre

INDIA, AFGHANISTAN - DONNE REAGISCONO ALLA VIOLENZA DEGLI UOMINI, DELLA "TRADIZIONE", DELLO STATO


India - Il coraggio di Pradnya botte allo stupratore "Donne, fate come me"

È pieno giorno in India, sono le 2,30 del pomeriggio, fa caldo e la stazione di Kandivli a Mumbai pullula di passeggeri in arrivo o in partenza. Pradnya Mandhare, 20 anni cammina svelta verso i binari per tornare a casa dopo una mattina di lezioni nel college universitario di Sathaye alla periferia della metropoli. Nella calca viene avvicinata da un uomo — un certo Chavan, non meglio identificato — chiaramente ubriaco. Lei cerca di scansarlo mentre lui la palpeggia, ma lui la afferra impedendole di muoversi.
Tra le cinquanta e più persone presenti alla scena nemmeno uno interviene, né uomini né donne, allora Pradnya, «dopo un paio di secondi di choc», capisce che deve cavarsela da sola. «La gente si fermava a guardare — racconta — ma nessuno si preoccupava di chiedere che cosa stava succedendo. Così ho cominciato a colpire l'uomo con la mia borsa ed ero sicura che lo avrei sopraffatto perché dalla puzza di alcool si capiva che era ubriaco». Già con queste credenziali la coraggiosa Pradnya ha meritato il ruolo di eroina che le è stato assegnato con frasi d'ammirazione sui social media indiani e di tutto il mondo, non fosse altro che per il suo sangue freddo, dopo tante storie di violenze sessuali — una ogni venti minuti secondo statistiche del governo — finite tragicamente nella stessa Mumbai. Per non parlare del caso più eclatante di tutti, lo stupro di branco e l'uccisione della 23enne Jyothi Singh nel dicembre 2012 su un autobus di Delhi. Ma il racconto della studentessa prosegue con una scena surreale avvenuta dopo che l'uomo l'aveva lasciata andare, tramortito dai colpi. «Dal momento che era sporco e puzzava — dice la studentessa universitaria — avevo difficoltà anche a toccarlo. Per questo l'ho preso per i capelli e trascinato fino alla polizia ferroviaria ». «È stata dura — aggiunge — perché stava cercando di scappare, mi gridava di lasciarlo camminare da solo e che sarebbe venuto con me dai poliziotti, ma avevo paura che mi avrebbe attaccato ancora, e neanche stavolta (con un numero di testimoni molto più alto, ndr ) qualcuno è venuto in mio aiuto".
In un Paese dove gran parte dei reati a sfondo sessuale resta impunita, Pradnya non si è limitata a reagire e umiliare il suo molestatore davanti a centinaia di spettatori insensibili e complici dello stesso clima sociale che genera violenza. Consapevole dell'esempio che il suo caso potrebbe rappresentare per altre vittime, non si è ritratta davanti ai cronisti giunti a frotte per intervistarla. «Ogni donna dovrebbe alzare la voce e insegnare a queste persone una lezione — commenta —. Non siamo oggetti che chiunque può toccare a volontà. Si deve reagire e non tacere anche se i genitori delle ragazze pensano che andare in una stazione di polizia significa infangare la reputazione della figlia... ai poliziotti... ho chiesto di dargli una lezione in modo che non avrà più il coraggio di molestare un'altra donna».

Afghanistan - Donne in rivolta:
"Portiamo noi il feretro"

 
Farkhunda, aveva 27 anni, studiava da insegnate. Sembra fosse affetta da problemi psichici, ma questo, unitamente all'inestistenza di prove sulla sua "colpevolezza", non ha impedito ai suoi carnefici di "giustiziarla". Così Farkhunda è stata linciata con l'accusa di aver bruciato copie del libro sacro dell'Islam davanti ai poliziotti inerti.
Non paghi dell’esecuzione gli aguzzini di Farkhunda hanno trascinato il suo cadavere per alcune centinaia di metri per abbandonarlo poi sulle rive del fiume Kabul e darlo alle fiamme.
Ma il sacrificio della giovane afghana, per le donne che in migliaia hanno accompagnato la salma di
Farkhunda al corteo funebre, non è stato vano: “Portiamo noi la bara di Farkhunda. Era una figlia dell’Afghanistan. Oggi è toccato a lei, domani toccherà a noi”, scandiscono a gran voce le attiviste che hanno portato sulle spalle il feretro fino al luogo dell’inumazione, rompendo così la tradizione. Momenti di tensione si sono registrati quando i famigliari della vittima hanno impedito di partecipare alla cerimonia al religioso islamico Ayaz Niazi che, ore dopo il linciaggio, lo aveva definito “un atto giustificato”.
Intanto, per dare giustizia a Farkhunda, ma anche a tutte le figlie, sorelle, mogli e madri, si è formato un comitato popolare che ha offerto un premio di 5.000 dollari americani a chi aiuterà a trovare i colpevoli del martirio della giovane afghana

VERSO IL SEMINARIO DI GIUGNO DEL MFPR PER IL 20° ANNIVERSARIO

Seminario a Palermo, 6 giugno 2015, in occasione del 20° anniversario del MFPR

Il percorso storico originale del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, nella marcia difficile ma entusiasmante delle donne contro la doppia oppressione di classe e di genere per la rivoluzione che trasformi la terra e il cielo
Da un precedente opuscolo del MFPR su "Percorso storico e bilancio del movimento femminista proletario rivoluzionario":
"Nell'estate del '95 con un primo seminario importante ad Agrigento, cominciamo a porre le basi teoriche al mfpr - anche qui in aperto contrasto con le teorie allora in uso portate avanti dalle "teoriche-filosofe" borghesi della "differenza sessuale".
Studiamo Engels: "L'Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato", "la concezione materialistico dialettica" di Marx e prendiamo a decisivo riferimento la concezione, l'esperienza entusiasmante sulla questione femminile del Partito Comunista del Perù, e del suo primo dirigente il compagno Mariategui, che per la prima volta nel movimento comunista ml - che ha sempre osteggiato la parola "femminismo" considerandola tout court sinonimo di piccola borghesia -, pone la questione che "c'è un femminismo borghese, piccolo borghese e un femminismo rivoluzionario - che spetta alle proletarie comuniste raccogliere e rappresentare - Ciascuno di questi femminismi formula
le proprie rivendicazioni in modo diverso. La donna borghese solidarizza, nel femminismo, con l'interesse della classe conservatrice. La doma proletaria identifica la forza del suo femminismo con la fede delle moltitudini rivoluzionarie della società futura. La lotta di classe si riflette anche nel campo femminista. Le donne, così come gli uomini, sono reazionarie, centriste o rivoluzionarie. Di conseguenza non possono combattere insieme la stessa battaglia. Nell'attuale panorama umano, la classe differenzia gli individui più del sesso".
Ad Agrigento affermiamo la concezione materialistico dialettica della condizione delle donne, contro la concezione idealistico borghese che porta al riformismo. Diciamo che occorre operare un totale rovesciamento delle teorie in voga che avevano messo le donne con la testa a terra e i piedi in aria, affermando che i cambiamenti erano possibili solo se avvenivano nella testa, che quindi la coscienza delle donne doveva essere un prodotto delle idee, e quindi di fatto possibile solo grazie alle donne "filosofe" che avevano il monopolio delle "idee".
Noi affermiamo, invece, che occorre riportare la condizione delle donne con i "piedi per terra" e contro una concezione di naturalità biologica della natura femminile, affermiamo sulla base dell'analisi di Engels, Marx, che la condizione della donna non è immutabile, che l'origine e la base della oppressione delle donne è la proprietà privata e che la prima divisione di classe ha visto lo sfruttamento dell'uomo sulla donna. Poniamo quindi in maniera chiara che la contraddizione di sesso è frutto della contraddizione di classe e che la liberazione delle donne non è possibile senza la rivoluzione proletaria e il ruolo in essa delle donne.
Sviluppiamo sulla base della concezione storico-materialistico la critica feroce contro la famiglia, che oggi non può che essere borghese (anche quella dei proletari ha il "marchio" inevitabile del sistema dominante borghese, benché in essa alle concezioni borghesi presenti manchino le basi strutturali, le ragioni materiali della conservazione della proprietà privata che sono invece ben presenti nella famiglia borghese) e la necessità con la rivoluzione proletaria della eliminazione della famiglia monogamica.
Sempre in questo seminario cominciamo a porre con forza, sulla base dello scontro concreto che oppone la lotta storica per l'emancipazione delle donne alla violenza della borghesia, la legittimità e la necessità della violenza rivoluzionaria, contro la falsa e controrivoluzionaria concezione sulla presunta "natura pacifica" delle donne.
Ma soprattutto, per la prima volta, guardando alla grande esperienza storica della "Rivoluzione Culturale" in Cina e del ruolo decisivo in essa di Chiang Ching, affermiamo la necessità della "rivoluzione nella rivoluzione", come arma per sviluppare la lotta rivoluzionaria contro la borghesia in ogni campo, strutturale e sovrastrutturale, fino ai rapporti tra le persone, per non fermarsi dopo la presa del potere da parte del proletariato, e per usarla oggi come arma contundente contro ogni aspetto dell'ideologia borghese/maschilista."

26/03/15

Sempre di più al fianco delle donne curde - NO al disarmo con lo stato turco che continua a reprimere e massacrare

NOI PENSIAMO CHE OGGI ESSERE AL FIANCO DELLE EROICHE DONNE COMBATTENTI CURDE VUOL DIRE, ANCHE DALL'ITALIA, LOTTARE CONTRO L'IMPERIALISMO E DENUNCIARE LO STATO FASCISTA-ASSASSINO TURCO; ma anche dire che il nostro appoggio, che continua e deve rafforzarsi, non può estendersi (anzi per noi è in contrasto) all'appoggio del piano di disarmo proposto da Ocalan al governo turco.
 
Mentre Ocalan parla di accordo di pace, la Turchia di Erdogan attacca le combattenti e i combattenti curdi, rispondendo così alla proposta di Ocalan:
 

Il 19 marzo - dal bollettino Informatico dell’ UIKI – ONLUS) - "Il Governo turco è molto preoccupato della crescita dell’HDP, tanto è vero che, in questi ultimi tempi, vi sono state numerose provocazioni contro il nostro popolo; la più grave si è verificata ieri a Batman, dove è stata lanciata una bomba in una piazza, in cui c’erano pure molti bambini...
Mentre volgeva al termine la giornata del Newroz, tra un tripudio di bandiere, di cori, di visi sorridenti, improvvisamente ed immotivatamente, al solo scopo di rovinare sia la festa, sia il successo  politico, la Polizia ha iniziato un fitto lancio di lacrimogeni, creando panico tra le famiglie e le persone, che sono rimaste imbottigliate dalle transenne posizionate precedentemente, per delimitare l’area, ove si è svolta la manifestazione. Il lancio, proveniente dall’altura del Castello, è durato circa un’ora, causando un numero imprecisato di feriti; in serata, abbiamo saputo di numerosi arresti...".
Il 24 marzo "l'esercito turco ha annunciato una vasta operazione nel sud-est del paese contro sacche di ribellione del Partito dei lavoratori curdi (Pkk), tre giorni dopo che il suo leader Abdullah Ocalan ha lanciato una proposta di pace che prevede il disarmo"

A fronte di questa repressione, massacri, guerra che continua da parte del governo di Erdogan, l'appello di Ocalan a fermare la lotta armata rischia di essere utilizzato dallo Stato turco e dall'imperialismo per disarmare la grande forza espressa soprattutto dalle donne con la vittoria di Kobane contro l'Isis e lo spirito nuovo portato dalle donne e vincente dell'esperienza di Rojava.
 

Come abbiamo detto l'8 marzo: le donne rivoluzionarie curde hanno vinto una importante battaglia con la liberazione di Kobane... ma la lotta non finisce, deve andare avanti contro il nemico più forte, l'imperialismo, Usa ed europeo e il suo braccio nella zona lo Stato fascista turco.
 

Oggi, pensiamo, che NON appoggiare il "disarmo" sia un'arma della solidarietà internazionale con le nostre sorelle curde.
 
MFPR

25/03/15

Un appello urgente dalle prostitute indignate di Barcellona

Per aderire inviare mail a mail a prostitutasindignadas@gmail.com

ADHESIONES A CARTA ABIERTA CONTRA VIOLENCIA INSTITUCIONAL 

Este es un correo urgente desde el Colectivo de Prostitutas Indignadas.

Debido a los últimos acontecimientos y a la continuidad de la violencia institucional sobre nuestro colectivo.
ESTAMOS PIDIENDO ADHESIONES a partidos políticos, entidades, asociaciones, grupos, colectivos y un largo etcétera a la “CARTA ABIERTA dirigida a los diferentes grupos políticos municipales”.
Os adjuntamos el documento en pdf y al final de este correo. Os  pedimos por favor respuesta antes del jueves 26 de marzo a las 12h

·         Realizaremos una RUEDA DE PRENSA el viernes 27 de marzo a las 12h en el Col·legi de Periodistes de Catalunya- Rambla de Catalunya 10, pral. - Barcelona

·         Y llamamos a una CONCENTRACIÓN REIVINDICATIVA el sábado 28 de marzo a las 12h. en calle ROBADORS en el RAVAL

Un saludo cordial
Muchas gracias!
PUTAS INDIGNADAS


CARTA ABIERTA DE PROSTITUTAS INDIGNADAS
Esta carta está dirigida a los diferentes grupos políticos municipales y a las personas que se han designado como candidatas para ser alcaldes de la Ciudad de Barcelona.
Tenemos a nuestro lado a movimientos sociales y feministas, a entidades sociales de referencia y  a personas clave en la defensa de los Derechos Humanos.
El jueves 19 de marzo sufrimos un nuevo cierre a una de nuestras casas. Vinieron con una orden judicial pero sin aviso previo de precinto. Vinieron a tapiar la puerta de calle Robadors, 25.
La finca entera fue comprada recientemente y es propiedad del Ayuntamiento, junto con otras fincas de la calle. En este espacio era bien conocido que nos reuníamos las integrantes del colectivo de Putas Indignadas. Este es un golpe a los movimientos sociales de protesta, a la capacidad de organizarse de la ciudadanía. Es un golpe que pretende callar lo que todo el mundo sabe: que el Ayuntamiento de Barcelona especula con nuestros barrios y vende nuestra ciudad.
El Ayuntamiento combina sus políticas policiales represivas en el Raval con sus planes educativos de “reinserción” – que ofrecen precariedad y servicios sociales a cambio de la redención de multas- y además se ha dedicado a comprar fincas del barrio con el objetivo de desahuciar y “limpiar”. Estas políticas no están destinadas únicamente a las trabajadoras sexuales, pretenden preparar el centro de la ciudad para turistas, especuladores y “vecinos dignos”. Nosotras no somos las primeras desahuciadas, tampoco seremos las últimas.
La vulneración de nuestros derechos es constante pese a que hemos ofrecido nuestra ayuda como colectivo para encontrar mejoras reales de la convivencia en nuestros barrios, pese a que somos quienes conocemos mejor las realidades de exclusión y la trata.
Tanto el Alcalde, Xavier Trias, la Regidora de Dona i Drets Civils, Francina Vila y la Regidora de Ciutat Vella, Mercé Homs no buscan soluciones, buscan negocios. Buscan marear a la ciudadanía con actos y discursos que nunca mejoran nuestras vidas. La participación ciudadana de esta ciudad está muerta porque la han corrompido.
Se llenan de palabras sobre “convivencias”, “planes de atención” y “lucha contra la trata” cuando en realidad hablan desde los despachos. Mientras tanto, sigue habiendo violencia hacia nosotras - trabajadoras libres- y aún peor hacia las mujeres víctimas de trata que son multadas y coaccionadas, mientras no se les da la seguridad necesaria para ellas y sus familias, mientras se les niega asilo a aquellas que no tienen papeles, mientras a las palabras políticas se las lleva el viento.
Por eso pedimos un compromiso de los grupos municipales que se presentan a las próximas elecciones para defender nuestros derechos fundamentales:
·         Que se comprometan a cesar las políticas represivas hacia las personas que ejercen prostitución.
·         Que se comprometan a negociar con nosotras espacios de trabajo mejorando la convivencia y la vida vecinal en nuestros barrios.
·         Que se defiendan los derechos y la seguridad de las compañeras en trata.
Os pedimos apoyo porque no es posible continuar en silencio, siendo cómplice de los abusos.


Prostitutas Indignadas                                                                              Marzo de 2015        
#PutasConCasaYa

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Buongiorno,

Si tratta di una e-mail urgente da parte del Collettivo prostitute Indignate (Colectivo de Prostitutas Indignadas).

A causa di recenti avvenimenti e della continua violenza istituzionale sul nostro collettivo.

Chiediamo ADESIONI a politici partiti, organizzazioni, associazioni, gruppi, collettivi e così via per la "lettera aperta indirizzata aI diversi gruppi politici locali".

Alleghiamo il documento in pdf alla fine di questa e-mail. Vi chiediamo gentilmente di rispondere entro Giovedi 26 marzo alle 12

• Faremo una conferenza stampa Venerdì 27 marzo alle 12:00 presso il Collegio dei Giornalisti di Catalunya - Rambla de Catalunya 10 Pral. - Barcellona

• Concentrazione rivendicativa Sabato 28 marzo alle 12 in calle Robadors nel RAVAL


Saluti

Grazie mille!

Putas indignadas

RICHIESTA URGENTE - ADESIONE A LETTERA APERTA CONTRO ALLA VIOLENZA ISTITUZIONALE

LETTERA APERTA DELLE PROSTITUTE INDIGNATE

Questa lettera è indirizzata ai diversi gruppi politici municipali e agli individui che sono stati designati come candidati per sindaci della città di Barcellona.

Abbiamo al nostro fianco movimenti sociali e femministi, entità sociali fondamentali e persone che tutelano i Diritti Umani delle persone.

Giovedì 19 marzo abbiamo sofferto una nuova chiusura di una delle nostre case. Sono venuti con un mandato senza preavviso. Sono venuti a murare la porta di Robadors, 25.

L'intera proprietà è stata recentemente acquistata ed è di proprietà del comune, insieme ad altre proprietà della strada. Questo spazio era ben noto come punto d’incontro dei membri del collettivo di Putas Indignadas. Questo è un duro colpo per i movimenti di protesta sociale e la capacità di organizzare la cittadinanza. Si tratta di un colpo studiato per far zittire qualcosa che tutti sanno: che il comune di Barcellona specula con i nostri quartieri e vende la nostra città.
 
Il comune di Barcellona combina le sue politiche poliziali repressive nel Raval con i suoi piani educativi di "reinserimento" – che offrono precarietà e servizi sociali a cambio della redenzione delle multe – inoltre si è dedicato all'acquisto di proprietà nel quartiere con l’obbiettivo di sgomberare e “ripulire”. Queste politiche non sono destinati esclusivamente alle lavoratori del sesso, ma sono destinate a preparare il centro della città per i turisti, speculatori e "vicini degni." Non siamo le prime a essere sfrattatate, e non saremo neanche le ultime.

La Violazione dei nostri diritti è costante, anche se abbiamo offerto il nostro aiuto come collettivo per trovare reali miglioramenti nel vivere nei nostri quartieri, anche se noi siamo chi conosce meglio le realtà di esclusione e della tratta.

Sia il sindaco, Xavier Trias, la consigliera di Dona e Diritti Civili, Francina Vila e la Consigliera di Ciutat Vella, Mercè Homs, non sono in cerca di soluzioni,  sono in cerca di affari. Vogliono distrarre i cittadini con atti e discorsi che non migliorano le nostre vite. La partecipazione dei cittadini in questa città è morta, perché è stata corrotta.

Sono pieni di parole come "convivenza", "piani di assistenza" e "lotta contro la tratta", quando in realtà parlano seduti nei loro uffici. Nel frattempo, continua la violenza verso di noi – lavoratrici libere - peggio ancora verso le donne vittime della tratta che vengono multate e costrette, mentre non hanno la necessaria sicurezza per se stesse e le loro famiglie, mentre è loro negato l'asilo a coloro che non hanno le carte, mentre che le parole politiche se ne vanno con il vento.

Quindi chiediamo impegno da parte dei gruppi municipali che appaiono nelle prossime elezioni per difendere i nostri diritti fondamentali:

• Di impegnarsi a cessare la politica repressiva nei confronti di persone che praticano la prostituzione.

• Di impegnarsi a negoziare con i nostri spazi di lavoro migliorando la convivenza e la vita tra vicini nei nostri quartieri.

• Che si difendano i diritti e la sicurezza delle compagne vittime di tratta.

Chiediamo sostegno, perché non possiamo restare in silenzio, essendo complici di abusi.


Prostitute indignate marzo 2015

24/03/15

India, lo Stato degli stupri, il regime e la cultura fascista indù responsabili - la guerra popolare con tante donne in armi spazzerà tutto questo!

India, tre ragazzine violentate e uccise da una gang. I corpi abbandonati in un campo

Le hanno trovate morte vicino al loro villaggio, in un campo dove erano andate a cercare foglie e piante per alimentare il bestiame. Erano partite tutte e tre venerdì dalle loro case di Katiyari, nel distretto di Uttar Pradesh, nell'India orientale: non sono mai più tornate.

La gente del luogo, in serata, ha avviato le ricerche che sono durate tutta la notte fino a quando, il giorno dopo, non è stata fatta la macabra scoperta: stese tra le piante c'erano le tre ragazze di nove, tredici e diciotto anni, ormai senza vita e con ferite al collo e alla testa. L'ipotesi più accreditata è che siano state violentate da una gang e poi uccise, anche se gli inquirenti attendono l'esito delle autopsie per decidere se classificare l'inchiesta sotto le voci "stupro e omicidio".

«I traumi al cranio sembrano essere la causa della morte - ha detto Manoj Kumar, soprintendente della - Ora capiremo se c'è stato un reato di natura sessuale».

Questa vicenda allunga ulteriormente la lista infinita dei casi di stupro di gruppo in India. Il caso più noto degli ultimi anni avvenne nel 2012, quando una stagista di 23 anni fu brutalmente violentata e uccisa mentre viaggiava su un autobus privato a New Delhi. La vicenda, che scatenò proteste in tutto il Paese, balzò alla ribalta dell'attenzione internazionale e portò alcuni cambiamenti nella legislazione indiana relativa alle violenze sulle donne. Ma è ancora lunga la strada da fare per sradicare una mentalità, dura a morire e diffuda in ampi strati della popolazione, secondo la quale lo stupro è un atto spesso e volentieri giustificabile.

23/03/15

L'Aquila, sezione femminile del carcere delle Costarelle: 9 donne sepolte vive in un regime di "carcere duro più duro degli altri", ma per la compagna Nadia Lioce è anche "più duro delle altre"

DIFENDIAMO LA VITA DELLA PRIGIONIERA POLITICA NADIA LIOCE!

(Da ristretti orizzonti) Ora d'aria in compagnia di una sola detenuta, in una vasca di cemento da tre metri per tre. Massimo due libri e due quaderni: ma tutti tacciono.

Sanno in pochi a quale tipo di asprezze va incontro un detenuto che è sottoposto al 41 bis, regime di carcere duro. E sono ancora meno quelli che conoscono la realtà della sezione femminile del carcere delle Costarelle, L'Aquila, dove le nove recluse vivono in un regime di carcere duro più duro degli altri. Le donne che lo abitano sono seppellite vive da anni. Recluse in un sepolcro entro il quale scalciano. Oltre il quale nessuno può sentirne lo strazio. Vivono in isolamento totale. Non riescono a far sentire la loro voce.

A far sapere all'esterno quale sia la quotidiana umiliazione della loro dignità, in spregio delle stesse norme che regolano il 41 bis. "Un carcere femminile peggiore di Guantánamo e di Alcatraz", lo definisce l'esponente politico del centrosinistra aquilano, Giulio Petrilli. Un autentico bunker, dove è in vigore l'isolamento totale.

Qui alle Costarelle, dove la sezione femminile speciale fu inaugurata nell'autunno del 2005 da Nadia Lioce, Laura Proietti e Diana Blefari, brigatiste coinvolte nei delitti Biagi e D'Antona, le detenute sono trattate peggio dei boss mafiosi. Le loro celle si trovano alla fine di un lungo tunnel sotterraneo. Sono grandi due metri per due. Si affacciano sul nulla. E ancora peggio di così va per l'ora d'aria. Alla maggior parte dei boss mafiosi è consentito socializzare, scambiare due chiacchiere in gruppi di sei persone. E in luoghi dove un po' d'aria, magari la si respira davvero. Non si parla certo dei giardini di Boboli. Ma di spazi che a volte arrivano alle dimensioni di un campo di calcetto.
Non alle Costarelle, dove l'ora d'aria la si trascorre in una vasca di cemento grande tre metri per tre. In pratica è un po' come restare in cella. E del sole neanche l'ombra. Sarà per lo meno l'occasione per scambiare due chiacchiere, si potrebbe immaginare.
Niente affatto. Alle donne delle Costarelle, Lioce compresa, è imposto di poter socializzare al massimo con una sola compagna. Se le due non si piacciono? Pazienza. E se una si ammala? L'ora d'aria te la fai da sola, come una pazza. E accaduto così poco tempo fa proprio alla Lioce. La compagna d'aria si ammalò per un bel po' di tempo. E così la brigatista che sconta la sua pena all'ergastolo, dovette subire un'inutile e dannosa pena accessoria: la condanna al silenzio totale.

Si sostiene che la socializzazione, in regime di 41 bis, viene limitata per ragioni di sicurezza. Per impedire che mafiosi si parlino e possano scambiarsi informazioni. Con le dovute cautele, però chi è al 41 bis può trascorrere l'ora d'aria in gruppi di sei o sette persone. Non così alle Costarelle, dove tra l'altro, delle nove donne prigioniere, Lioce è l'unica ergastolana condannata per fatti terroristici. Di che cosa dovrebbe parlare con le altre detenute condannate per fatti di associazione mafiosa? E in secondo ordine, perché le donne di questo carcere possono trascorrere l'ora d'aria in coppia, e non in gruppo? Abolita la socialità, il desiderio di dire "come va", di restare umani nonostante tutto, si potrebbe credere che una detenuta delle Costarelle potrebbe vocarsi per lo meno ai piaceri dello studio e della lettura. Ma anche in questo caso, vince l'accanimento. Un accanimento che va oltre il 41 bis.

Le sgradite ospiti del carcere aquiliano possono avere massimo due libri al mese, e due soli quaderni sui quali scrivere o prendere appunti. Diplomarsi, laurearsi, dedicarsi a uno studio? Pazza idea. I libri sono sottoposti a censura. Alle detenute è vietato scambiarsi libri. E possono averne soltanto se hanno denari da spendere. Un po' complicato farne a sufficienza, vivendo seppellite vive. Anche ai familiari e ai parenti, è vietato inviarne in regalo. E comunque deve trattarsi di libri nuovi. Vecchie edizioni di libri, che qualcuno si trova in casa, non possono essere consegnati. Immaginate che spasso, per chi magari vuole studiare e ha bisogno di approfondire su testi polverosi di cui non ci sono nuove edizioni. In pratica la norma, per chi sostiene esami universitari. A vivere in condizioni di questo genere, è facile ammalarsi.

E fino a poco tempo fa, in questi casi, la beffa. Le detenute potevano essere visitate, anche per problemi intimi, solo in presenza di una guardia. Quanta intimità. Ma vivere in queste condizioni, significa anche andare via di testa. È già successo. È accaduto a Diana Blefari, prigioniera alle Costarelle. "Era caduta in uno stato di profonda prostrazione e inerzia psicologica. Se ne stava rannicchiata tutto il giorno nel letto, con la coperta fino agli occhi e senza nessun cenno di interesse per il mondo", racconta Elettra Deiana.

Piegata dal carcere duro, Blefari si suicidò il 31 ottobre del 2009. Non si discute qui quali siano le colpe di queste detenute. Qui ci si chiede se è legittimo sottoporre chi sconta la sua pena, a un surplus di accanimento. A inutili torture che le circolari del Ministero autorizzano anche qui a Costarelle. Una tomba dove chi scalcia non può essere sentito. Dove queste detenute, ormai come spettri, interrogano tutti noi sul significato di dignità e diritti, che spetterebbero anche al peggiore dei criminali, in quanto essere umano.

(Da abruzzoweb, la denuncia delle avvocate Carla Serra e Maria Luna) "Il 29 novembre di quest'anno, il personale di Polizia penitenziaria della casa circondariale dell'Aquila, in esecuzione di una disposizione interna all'Istituto, ha sottratto alla disponibilità di Nadia Desdemona Lioce, detenuta in regime di 41 bis presso il carcere dell'Aquila, materiale di cancelleria: libri e quaderni, comunicando alla stessa che da quel momento in poi avrebbe potuto tenere con sé un numero di quaderni non superiore a tre e un numero di libri non superiore a due.
Quest'ultima limitazione costituisce un ulteriore aggravamento della complessiva condizione detentiva in cui si trova la Lioce, che è ristretta all'interno di una sezione della casa circondariale insieme ad altre tre detenute, ma secondo disposizioni ministeriali ciascuna di loro è obbligata ad effettuare la socialità con una sola compagna, con il divieto anche solo di comunicare in qualsiasi forma, con le altre due compagne. A ciò si aggiunga che oramai da oltre tre mesi la Lioce si trova in regime di isolamento disciplinare, a seguito dell'applicazione delle varie sanzioni che vengono eseguite con l'interruzione di un solo giorno l'una dall'altra, determinando di fatto una condizione di totale isolamento perenne. In tale complessiva condizione segregativa si inserisce l'ulteriore divieto relativo alla possibilità di detenere libri e quaderni, che si traduce nella inaccettabile limitazione della naturale estrinsecazione della personalità umana e comporta la cancellazione dei più basilari e inviolabili diritti umani. In realtà, quindi, nel caso in esame, non si pone un problema di interpretazione giuridica di norme o di applicazione del diritto al caso concreto ma ci si trova piuttosto dinanzi ad una vera e propria questione di civiltà giuridica, che postula il seguente interrogativo, se sia davvero accettabile che si applichi nei confronti di alcuni tipi di detenuti un regime di detenzione disumano, violativo dei più elementari e imprescindibili diritti umani dell'individuo. Perché non può esservi dubbio alcuno sulla natura segregativa e 'violenta' di un regime carcerario che si attui con le modalità descritte in premessa, che addirittura inasprisca le già gravissime restrizioni imposte dal 41 bis, che incida tanto pervasivamente fino ad annullarla del tutto, anche su quel minimo di vita di relazione che il detenuto può e deve intrattenere con la popolazione carceraria, che menomi ogni forma di estrinsecazione della personalità umana, che miri ad annientare l'identità stessa dell'individuo detenuto.
Questa natura e non altra può essere attribuita ad una condizione che si esplica attraverso simili modalità: una sezione dove è negata ogni forma di relazione intersoggettiva, dove l'individuo non si relaziona, (perché non può più farlo), con altri individui, e da oggi gli è negato persino il diritto di leggere e scrivere secondo le proprie attitudini ed in tal misura è mortificato nella sua stessa identità, nella sua natura di essere sociale."

(Da Secours Rouge) Dal 29 novembre 2014 la direzione del carcere di L’Aquila ha disposto l’inasprimento del regime di 41-bis applicato contro la compagna Nadia Lioce, con l’ulteriore limitazione del numero di libri e quaderni da tenere in cella. Inoltre, da circa cinque mesi la compagna è sottoposta alla misura dell’isolamento disciplinare, il che determina una condizione d’isolamento totale e perenne. 
Su mandato politico di tutti i Governi succedutisi dal 2005 in poi, sia di centrodestra che di centrosinistra, il 41-bis contro i compagni è stato prorogato e inasprito sempre più duramente.

Così lo Stato vuole uccidere Nadia e sventolare la testa di una prigioniera politica davanti al proletariato.
Ma Nadia non si è pentita e vive ancora, così pure il proletariato, perché viva è la necessità della rivoluzione proletaria.
La giustizia borghese, quella di Biagi e di D'Antona, quella di Renzi, Monti, Marchionne, Berlusconi ecc. ha fatto molti più morti di Nadia: morti di stato, morti sul lavoro, morti per fame e per miseria.
Il proletariato comincia a vedere che questa giustizia borghese lo vuole schiavo o morto, comicia a vedere che la giustizia di stato ha 2 pesi e 2 misure: l'una per chi uccide e avvelena gli operai, i proletari, le popolazioni e il territorio, l'altra per chi lotta contro questa devastazione umana ed ambientale.
Ma finché la violenza di stato continuerà a chiamarsi giustizia, la giustizia del proletariato continuerà a chiamarsi violenza.
"Mors tua vita mea" ci ricordano i servi dei padroni in ogni circostanza e in ogni ambito per dividerci, isolarci, desolidarizzarci e vincere.
Ma "il potere politico nasce dalla canna del fucile" ci ricorda Mao Tsé-Tung e la giustizia proletaria vedrà la luce solo quando il proletariato prenderà il potere e si organizzerà in un movimento reale per abolire lo stato di cose presente. Non potrà farlo ignorando le morti, la violenza di stato, mettendo "fiori nei suoi cannoni" o schede in un'urna elettorale, ma potrà farlo solo con la solidarietà verso chi contro questo sistema ha lottato e con chi continua a combatterlo con ogni mezzo necessario.
E necessaria è la rivoluzione. Necessaria è la solidarietà ai rivoluzionari prigionieri.

(Dall'appello del mfpr) Il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario fa appello a tutte le compagne, realtà di donne a mobilitarci per difendere le condizioni di vita della prigioniera politica Nadia Lioce.
Nadia è l'unica compagna, insieme a altri 2 prigionieri politici, ad essere ancora sottoposta al regime di 41-bis, inasprito dalla direzione del carcere de L'Aquila da fine novembre 2014 e alla misura dell’isolamento disciplinare, con la conseguenza di una condizione d’isolamento totale e perenne.
L'accanimento dello Stato contro Nadia Lioce non può e non deve passare sotto silenzio, perchè, al di là del giudizio sulle scelte di lotta, politiche da lei fatte e portate avanti, questo accanimento repressivo è per cercare di ammazzare la sua volontà di non cedere, la sua coerenza nella battaglia contro questo Stato.
Lo Stato borghese vuole le donne subordinate e oppresse e, se si ribellano e lottano, pentite o dissociate. Chi non ci sta viene doppiamente repressa, anche perchè ha osato...
Per questo, tutte le donne, le compagne che lottano per spezzare le doppie catene di questo sistema sociale devono far sentire la solidarietà per Nadia.
Le donne combattenti, la loro vita, le loro scelte, non vanno ricordate solo dopo morte o solo per il passato. Oggi c'è una donna combattente che per fortuna lo Stato non ha ucciso, o non è riuscito a stroncarne la volontà. Oggi essere dalla parte delle donne che lottano per dare l'assalto al cielo, è anche difendere Nadia Lioce.

DIFENDIAMO LE CONDIZIONI DI VITA DI NADIA LIOCE!
STOP AL 41-bis, AL REGIME DI ISOLAMENTO!

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
18 marzo 2015

VICENZA MOBILITAZIONE PER MARIANA, CONTRO I MILITARI USA STUPRATORI

Questi militari Usa stupratori sono parte dei soldati che ad aprile andranno in Ucraina per addestrare i neonazisti di Kiev, i soldati della Guardia nazionale ucraina – provenienti dalle Accademie militari ma soprattutto dalle formazioni di estrema destra ultranazionaliste e neonaziste.
FASCISMO E SESSISMO, ODIO VERSO LE DONNE SEMPRE SI COMPLETANO!

VICENZA

BASTA VIOLENZA SULLE DONNE

Solidarietà e giustizia per Mariana!

Le DONNE in LOTTA INVITANO

TUTTE le associazioni, i comitati, le donne e gli uomini di Vicenza che sono contro la violenza sulle donne, contro la presenza delle basi di guerra e contro la guerra a partecipare al

sit-in /volantinaggio in solidarietà a Mariana

Martedì 24 marzo 2015 alle ore 09.00

davanti al Tribunale nuovo BORGO BERGA – Via Ettore Gallo-Vicenza
dove si terrà udienza penale per la discussione sulla perizia psichiatrica del soldato Gray

Costruiamo un fronte unico di lotta, a Vicenza e anche fuori di Vicenza, che vigili su questo processo e che si ponga come obiettivo quello di contrastare tutte le forme di violenza sulle donne.
 
Partecipiamo al sit-in per chiedere e vigilare affinché il gravissimo fatto accaduto lo scorso 15 luglio a Vicenza non sia insabbiato o sminuito da una sentenza segnata dal maschilismo e dalla sottovalutazione dell’accaduto perché a subirlo è stata una donna povera e giudicata dalla morale del perbenismo bigotto.

Gray Jerelle Lamarcus, un giovane militare Usa della Caserma Dal Din (Dal Molin) ed Edil McCough, sono accusati di aver stuprato, per ore, e ferocemente picchiato, Mariana, nella notte del 15 luglio scorso. Mariana era incinta. Circa un anno prima dall’aggressione Gray Jerelle Lamarcus era stato accusato per lo stupro di una ragazza minorenne. A luglio, nonostante questo precedente, la procura ha ritenuto sufficienti per gli accusati gli arresti domiciliari all’interno della caserma e così, a distanza di soli alcuni mesi, in dicembre il militare è riuscito ad evadere, ed è stato nuovamente denunciato con l’accusa di aver tentato di ottenere una prestazione sessuale da un’altra prostituta, anch’essa incinta, aggredendo sia lei sia un’altra donna. Per Mariana sdegno iniziale e promesse non mantenute. Dopo la feroce aggressione a Mariana si sono subito mobilitate associazioni femminili e alcuni comitati con dichiarazioni, sit-in e offrendo supporto alla difesa legale della donna. Il sindaco di Vicenza, nonché Presidente della provincia, Achille Variati, subito dopo l’orribile fatto che aveva attirato l’attenzione dei mass media, fece tante promesse di aiuto alla donna e al suo bambino (che nel frattempo è nato) promesse che sono rimaste vuote parole. Ora sembra che si voglia liquidare tutta la questione giustificando il militare in quanto, secondo la Difesa, sembra “non fosse capace di intendere e volere” e il silenzio sta cadendo su questo terribile episodio di violenza. Ci rivolgiamo alla cittadinanza di Vicenza, in modo particolare alle donne, per vigilare insieme sul processo perché sia fatta GIUSTIZIA, Chiediamo che il sindaco mantenga le promesse e aiuti il nucleo familiare di Mariana, non solo lei e il bambino ma anche il papà del bambino, perché la povertà non deve essere motivo di ricatti e di divisione dei nuclei familiari, come sembra succeda normalmente a Vicenza dove i pochi aiuti (ad esempio una struttura dove vivere in mancanza di una casa e un lavoro) sono offerti solo alle mamme e ai figli, escludendo i padri ed esponendo le famiglie in gravi difficoltà economiche al trauma della separazione proprio nel momento di maggior difficoltà. A fianco di Mariana e di tutte le donne stuprate Nella notte del 15 luglio scorso lo stupro e le percosse che Mariana ha subito sulla sua pelle sono uno stupro e una violenza di cui dovrebbe sentirsi vittima ogni donna. Il fatto che Mariana abbia fatto la prostituta, argomento adotto ipocritamente da diverse persone per giustificare o sminuire il crimine da lei subito, non deve e non può mettere il silenziatore alla giusta indignazione, alla solidarietà e alla mobilitazione necessaria affinché questi episodi non debbano più ripetersi.

Donne in lotta di No Austerity Vicenza 
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute 

21/03/15

Produci, consuma, crepa...

...ma in tempi di crisi è produci, crepa e basta. E' lavorare fino alla morte e per quelle che un lavoro non ce l'hanno è crepare e basta , senza lamentarsi.
Puntuale come la morte è infatti arrivato l'"adeguamento" dell'età pensionabile alle "aspettative di vita" come previsto dalla legge Fornero e senza alcuna seria distinzione per i "lavori usuranti":
 

Dal primo gennaio del prossimo anno si potrà lasciare il lavoro (per chi ce l'ha) solo a 66 anni e sette mesi nel caso degli uomini e delle donne del settore pubblico. Per le donne impegnate nel settore privato sarà sufficiente un anno in meno, ma dal 2018 raggiungeranno l'"agognata parità" con tutti gli altri: 66 e 7 mesi. Vengono contestualmente innalzati anche i limiti relativi agli anni di carriera necessari per poter accedere alla pensione di anzianità. La pensione anticipata dal 2016 rispetto all'età di vecchiaia si potrà percepire con 42 anni e 10 mesi se uomini e 41 anni e 10 mesi se donne.
 

Scrivevamo nell'opuscolo S/catenate:

"Un altro pesantissimo attacco alla condizione delle donne è venuto con la riforma delle pensioni. Una provocazione! Mentre tante non trovano lavoro, o fanno solo lavori a termine, precari, o vengono cacciate dal lavoro, il governo ha allungato l’età pensionabile. Dietro le ipocrite dichiarazioni sulla “parità”, c'è solo la realtà vera di un taglio rilevante alla spesa pensionistica, un vero e proprio furto sulle spalle delle donne, non solo in termini di allungamento degli anni per il pagamento delle pensioni, ma soprattutto di risparmio secco perchè con l’aumento degli anni per la pensione la maggior parte delle donne non arriverà mai alla pensione, dato che sempre più la maggioranza delle donne o per lavori precari o perchè vengono per prime licenziate non arriva neanche ai 60 anni, figurarsi ai 65. Quale padrone si terrà una lavoratrice fino a 65 anni, piuttosto che una giovane precaria da pagare meno, più ricattata e più “efficiente”?

Per le donne ogni attacco alle condizioni di lavoro e di vita significa più oppressione, più subordinazione, più attacchi ideologici, più legittimazione di un clima generale da moderno medioevo - vera fonte delle violenze sessuali; ogni attacco aumenta la condizione di oppressione familiare, in una famiglia che diventa sempre più sia il più grande “ammortizzatore sociale” per il sistema capitalista soprattutto nella fase di crisi, ma anche strumento di controllo, normatività. Ogni peggioramento della condizione delle donne, quindi, non è solo materiale ma anche ideologico, mira a riaffermare costantemente la posizione di "debolezza" e subalternità delle donne in questa società capitalista."



Proseguire l'8 marzo

Per lo sciopero generale dal basso contro il governo Renzi, contro il Jobs Act, la "buona scuola", il vergognoso "piano casa" di Lupi e tutti gli odiosi provvedimenti sessisti e antiproletari di questo governo, che colpiscono doppiamente la maggioranza di noi donne e sono un insulto alla nostra dignità (come la vergognosa elemosina di stampo fascista del Bonus Bebè)


  • Perchè la lotta femminista non è interclassista
  • Perchè le donne proletarie hanno doppie ragioni, di classe e di genere, per combattere questo sistema in ogni ambito!
  • Perchè le donne di Kobane, le donne in prima fila nella guerra popolare in India e tutte le donne proletarie del mondo che si ribellano, ci ricordano che non c'è liberazione della donna senza rivoluzione e non c'è rivoluzione senza liberazione della donna
  • Perchè noi donne abbiamo una marcia in più e lo abbiamo dimostrato con lo sciopero delle donne del 25 novembre 2013

Abbiamo dimostrato quanto possiamo essere forti, unite, decisive per fare dello sciopero una rivolta sociale che metta in discussione tutti gli aspetti odiosi di questo sistema perchè “TUTTA LA NOSTRA VITA DEVE CAMBIARE”

Donne curde, un'iniziativa a Bologna


Quando la violenza sessista è di Stato, noi donne non capiamo mai niente!

Marta capisce male


Apprendiamo ora dell’archiviazione disposta dal Tribunale di Torino del procedimento penale aperto con la querela di Marta che, nella notte tra il 19 ed il 20 luglio 2013, durante una passeggiata notturna in Clarea, fu fermata unitamente ad altri 8 manifestanti. Il giorno successivo Marta partecipò ad una conferenza stampa denunciando pubblicamente di aver subito violenze, anche di natura sessuale, dagli agenti di polizia che la fermarono e di essere stata ripetutamente insultata, anche da un’agente donna, con gravi epiteti di carattere sessista.
Quella notte le forze dell’ordine accerchiarono i manifestanti e li caricarono picchiandoli selvaggiamente. Tutti i fermati riportarono lesioni che furono oggetto di esplicita denuncia in sede di convalida degli arresti, quando persino il GIP non potè che notare gli esiti delle lesioni cagionate sui loro corpi.
Marta, recentemente assolta dalle incolpazioni mossele, ha dovuto invece subire, come persona offesa, umilianti interrogatori e confronti con coloro che accusava, mentre la Procura per oltre un anno e mezzo ha ostacolato ogni indagine difensiva, si è rifiutata di sentire i testimoni indicati e di indagare i responsabili sino ad una settimana prima di richiedere l’archiviazione del procedimento.
L’archiviazione è stata richiesta attribuendo un’ incondizionata fiducia alle dichiarazioni rese dagli accusati, che hanno ovviamente negato ogni addebito, e ritenendo che Marta avesse male inteso le attenzioni sessuali rivoltele che sono state invece definite come diligenti e doverose manovre di soccorso attuate da agenti scrupolosi.
L’insultante richiesta della Procura ha trovato un altrettanto insultante accoglimento nel provvedimento di archiviazione che arricchisce quella che non può che definirsi una farsa, ritenendo possibile, alla luce della“contrapposizione ideologica della denunciante alle forze dell’ordine” che le violenze denunciate da Marta siano state esercitate non dalla polizia ma dai suoi stessi compagni, tanto più che i poliziotti accusati ma sentiti come testimoni, perché strenuamente non indagati sino alla richiesta di archiviazione, non possono aver mentito in quanto“sottoposti all’obbligo di dire il vero”.
Ma non basta mai: il GIP ha ritenuto del tutto “illogico” che un agente di polizia possa aver sfogato i propri “istinti sessuali” in un contesto come quello di quella notte, peraltro alla presenza di colleghi che avrebbero “dovuto”denunciare quello a cui hanno assistito, così facendo da eco a quanto già ritenuto dalla Procura che aveva considerato inverosimile il racconto di Marta poichè il contesto di scontro tra forze dell’ordine e manifestanti non appariva “il più idoneo a suggerire quel tipo di condotta”; mancando però, sia i soliti Pubblici Ministeri che il GIP, di indicare quale contesto avrebbe potuto essere considerato più idoneo per perpetrare una violenza sessuale degna di credibilità.
Quanto mai opportuno appare poi l’appunto del GIP che ricorda il “dovere” degli agenti di polizia di denunciare gli illeciti a cui assistono, non avendo però evidentemente presente la storica e consolidata abitudine delle forze dell’ordine., peraltro già accreditata e sanzionata da magistrati più coraggiosi, di sistematicamente coprire le malefatte dei colleghi, secondo una tendenza che provvedimenti del genere non possono che incentivare.
Un tale capolavoro di architettura giudiziaria non poteva che concludersi con la libera interpretazione delle ingiurie di carattere sessista proferite da un esponente degli alti ranghi della Polizia di Stato che ebbe a rivolgersi a Marta definendola una “puttana”; scopriamo così che tale signorile epiteto non sarebbe stato rivolto alla malcapitata fermata ma si sarebbe trattato di “imprecazioni generiche”. Un po’ come dire che se si insulta un poliziotto si tratta di oltraggio, mentre se si insulta una manifestante si tratta di generica imprecazione non costituente reato….ed è anche così che finalmente si spiega la “contrapposizione ideologica” tra manifestanti e forze dell’ordine!

VERGOGNA!!!


20/03/15

Parma, contro gli stupri nessuno spazio tabù

Riflessioni sulle notizie da Parma

 

Come compagne e compagni sul tema aperto dagli articoli apparsi sulla cronaca parmense degli ultimi giorni è tanto delicato quanto doveroso. Lo è sia nella misura della solidarietà e della vicinanza con la ragazza che ha subito la violenza, se questa è data per certa, sia per ragionare sulle questioni che tale episodio apre in chiave mediatica e materiale. Lo facciamo ribadendo innanzitutto che spetta a lei, senza interventi esterni, stabilire se si sia trattato di stupro e partiamo nella riflessione dall'atteggiamento della cronaca dei giornali, degli inquirenti e delle realtà di movimento. Questa riflessione parte dalla consapevolezza che se dev’essere la donna a stabilire il "regime di verità", la reazione da avere deve essere invece collettiva e portata da tutti.


Le notizie raccontano di una violenza sessuale di gruppo avvenuta nel 2010 presso uno spazio sociale di Parma (utilizzato da un'eterogeneità di gruppi e collettivi), dove lo stupro sarebbe stato oltretutto filmato dai violentatori.
Ci sembra anzitutto evidente come, ancora una volta, la presa di parola della donna in tutto questo sia stata evidentemente e colpevolmente ignorata dai media mainstream. La storia viene raccontata dalle voci degli inquirenti e non dalla sua. Come spesso accade nei casi di violenza sessuale, si lascia ampio spazio a una narrazione morbosa di supposti fatti "oggettivi", senza chiedersi se chi li ha subiti sia o meno d'accordo con tale racconto e con la sua pubblicizzazione. Sbatti i mostri in prima pagina, rendendo invisibile la donna, la quale diventa nel frattempo semplice comparsa nella storia di qualcun'altro: i giustizialisti da un lato, gli stupratori dall'altro.
Per noi gli episodi di violenza sessuale sul corpo e sulla persona di una donna sono inaccettabili e da combattere in ogni ambito, ma lo sono ancora di più se riguardano spazi di movimento, perché la cultura che li causa e li giustifica, il patriarcato, non è compatibile con il modo di vivere e di attraversare il movimento e gli spazi sociali come li intendiamo.
La stessa esistenza di un video, eventualmente utilizzata a mo’ di trofeo dell’episodio, rappresenterebbe un modo di intendere il sesso e il rapporto con le donne di tipo consumistico e reificante. Tale visione, estranea alla logica antisessista, non può che ricevere il nostro rifiuto, poiché in sintonia con lo sfruttamento dei corpi che viene imposto dal capitalismo e perché denuncerebbe una logica sessista di prevaricazione e probabile volontà di umiliazione di una persona. Sembra quasi banale dirlo, ma necessario nel caso l'episodio si sia svolto così: un conto è la sessualità filmata, ma consensuale e consapevole, un conto è il trofeo e la relazione di potere tra vittima e carnefici che da questo ne consegue. Non ci sono modi meno scontati, ma sufficientemente chiari, di ribadire che ogni espressione del sesso e delle relazioni è per noi possibile se e solo se esplicitamente consensuale.
Nell'emergere di questa storia, a cinque anni dai fatti, ci stupiamo dell'assoluta mancanza di presa di posizione precedente alle vicende giudiziarie, mentre addirittura si attende il "verdetto degli inquirenti" per esprimere un giudizio, o anche solo per essere solidali con la donna coinvolta. Non possiamo che rimanere perplessi dall'atteggiamento auto-assolutorio che una parte dei comunicati usciti negli ultimi giorni assumono, anche alla luce del precedente silenzio, e che usano la retorica del "siamo compagni, noi certe cose non le facciamo", come se l'essere compagni (e compagne) costituisse una garanzia di "purezza" dalle forme di sessismo (ma anche razzismo ed omofobia, per dirne alcune) che spesso sono introiettate, prima ancora che consapevolmente esplicitate. Affrontiamo questo ragionamento nella consapevolezza che nessuno può ritenersi avulso o estraneo a queste contraddizioni; né intendiamo assumere posizioni ideologiche o miopi sul tema dell'antisessismo e della violenza sulle donne. Intendiamo scegliere da che parte stare e non nasconderci dietro le nostre stesse contraddizioni. Nel momento in cui la cultura contro cui vogliamo ribellarci si insinua nelle nostre relazioni, nel nostro immaginario e nei nostri desideri, sta a noi riconoscerli e contrastarli, in maniera collettiva e senza ipocrisie.
Rimandare il tempo del confronto ad una sentenza costituisce un errore sostanziale da parte di chi vorrebbe essere estraneo alla giustizia delle istituzioni ma poi le chiama in causa al momento di analizzare quanto è avvenuto negli spazi che vive. Sembrerebbe che in presenza di un argomento eccessivamente delicato si scelga di tirarsi indietro, a scapito delle idee che si professano, piuttosto che assumersi la responsabilità di un ragionamento e di una presa di parola collettiva, per quanto questo possa essere difficile. Si rischia di ricadere nella logica giustizialista che vede lo stupro risolto una volta che gli stupratori sono dietro le sbarre e/o puniti, una volta insomma che "l'onore leso sia stato vendicato".
Il fatto che oggi salti fuori una vicenda non chiarita, per mano delle istituzioni, è un fallimento collettivo, e da questo dato occorre partire per guardare avanti. I rapporti tra di noi vanno resi liberi, e difesi come tali, dalle pratiche che costruiamo nei luoghi che abitiamo. Questo dovrebbe avvenire, e partire dal tentativo quotidiano, di identificare e smascherare le logiche sessiste, ma anche essendo in grado di reagire collettivamente e con fermezza rispetto ai casi di stupro, perché occorre rapidamente accertare se siano tali e intervenire. Questa, a parere nostro, è l'unica garanzia e prevenzione per difendersi dalle strumentalizzazioni.
Quello che dovrebbe essere fatto è operare una scelta, prendere posizione in maniera esplicita e pubblica, su come affrontare gli eventuali colpevoli e non isolare la vittima, immaginare e praticare forme alternative di reazione che non attendano la sentenza di un giudice o la punizione giudiziaria, che contrastino e reagiscano senza mezzi termini ad una violenza, come uno stupro, che non possiamo giustificare in alcun modo. Ignorare un possibile caso di stupro è pericoloso per gli spazi di alterità che desideriamo costruire. La pervasività del sessismo non costituisce una scusa per non combatterlo, sia quotidianamente che a fronte di specifici eventi ma, anzi, ne esplicita l'urgenza e la necessità.
Redazione Infoaut

18/03/15

Difendiamo Nadia Lioce!


APPELLO DEL MFPR - DIFENDIAMO LE CONDIZIONI DI VITA DI NADIA LIOCE - STOP AL 41-bis, AL REGIME DI ISOLAMENTO
 

Il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario fa appello a tutte le compagne, realtà di donne a mobilitarci per difendere le condizioni di vita della prigioniera politica Nadia Lioce.
Nadia è l'unica compagna, insieme a altri 2 prigionieri politici, ad essere ancora sottoposta al regime di 41-bis, inasprito dalla direzione del carcere de L'Aquila da fine novembre 2014 e alla misura dell’isolamento disciplinare, con la conseguenza di una condizione d’isolamento totale e perenne.
L'accanimento dello Stato contro Nadia Lioce non può e non deve passare sotto silenzio, perchè, al di là del giudizio sulle scelte di lotta, politiche da lei fatte e portate avanti, questo accanimento repressivo è per cercare di ammazzare la sua volontà di non cedere, la sua coerenza nella battaglia contro questo Stato. 
Lo Stato borghese vuole le donne subordinate e oppresse e, se si ribellano e lottano, pentite o dissociate. Chi non ci sta viene doppiamente repressa, anche perchè ha osato...
Per questo, tutte le donne, le compagne che lottano per spezzare le doppie catene di questo sistema sociale devono far sentire la solidarietà per Nadia.
Le donne combattenti, la loro vita, le loro scelte, non vanno ricordate solo dopo morte o solo per il passato. Oggi c'è una donna combattente che per fortuna lo Stato non ha ucciso, o non è riuscito a stroncarne la volontà. Oggi essere dalla parte delle donne che lottano per dare l'assalto al cielo, è anche difendere Nadia Lioce.

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
18 marzo 2015

17/03/15

Non c'è futuro senza memoria: presentazione del libro "sebben che siamo donne" a Milano

 
Di seguito il report di una compagna del MFPR sulla presentazione del libro "Sebben che siamo donne"  di Paola Staccioli, con un contributo di Silvia Baraldini nell’atrio dell’aula magna dell’ Università statale di Milano, nell’ambito di una tre giorni dedicata a Dax e in prossimità del 12° anniversario della sua uccisione per mano fascista.

L’introduzione del collettivo universitario The take che ha ricordato che per la statale è un momento complicato sul fronte dell’antifascismo ed antirazzismo, da quando si è insediato il nuovo rettore che ha concesso l’aula a lealtà ed azione-impedita per la massiccia mobilitazione di universitari contro la presenza dei fascisti in università- ma resta il fatto che l’aula è stata concessa e che l’iniziativa è stata spostata nella sede di via Noto. Chiusa, invece, l’ Università in occasione della due giorni No Expo.

Si è costituito un coordinamento tra le forze che intervengono in Università: Statale antifascista ed antirazzista che promuoverà una tre giorni in Statale il 14-15-16 marzo in avvicinamento al 25 aprile e al 29 aprile.

Altra introduzione dell’ associazione Dax. Apertura della 3 gg, come regalo alla mamma di Dax, senza di lei probabilmente noi non ci saremmo. La presenza di Fiore al convegno in Regione, dà a questa presentazione maggiore valenza. Di sicuro abbiamo un’immagine contrapposta della donna.

Paola, ringraziamenti e senso del libro, importante la memoria, un libro di storie delle dieci donne, ma, in realtà, più ampia.

Silvia: mi hanno sempre chiesto di scrivere dell’ aspetto della repressione. Io invece volevo scrivere del momento in cui è diventato chiaro negli USA che era necessaria una rottura politica. Anche queste donne sono arrivate a questa determinazione. Mi sono sentita spesso dire che qui in Italia non sarebbe successo (la detenzione-ndr).

Gli USA negli anni 60 in ebollizione per tante ragioni. Forze che agivano, radicate, il movimento faceva parte di quelle forze. L’elemento rivoluzionario negli USA: come organizzare e dare voce. Il movimento rivoluzionario afro-americano: il mov. Riv. “bianco” non ha capito immediatamente ciò che stava accadendo, non si è comportato molto bene.

Militavo in una organizzazione in cui le donne erano il 90%. Perché l’intreccio di lotta di classe e genere è necessario, non può essere che la visione della donna sia relegata a un momento in cui ..sarà realizzata una società diversa.

La presentazione del libro è risultata un po’ ingessata, Paola utilizza una modalità multimediale, in cui legge tantissima parte delle storie raccontate nel libro, con proiezione di foto, immagini e sottofondo musicale. In   questa occasione è rimasta un po’ spiazzata per il cattivo funzionamento dei supporti informatici. Non interviene a braccio, non lascia nulla all’improvvisazione o all’ispirazione da eventi, fatti contingenti.

L’opposto Silvia, con cui abbiamo alla fine scambiato un po’ di pareri sull’andamento della presentazione e condiviso il fatto che la presentazione del libro non sia stata occasione per un vero dibattito- dopo il lungo intervento di paola è stata chiusa bruscamente la possibilità di dibattito, nonostante l’annuncio nell’intervento di apertura dell’ ass. dax, come anche il luogo scelto non proprio felice. Insomma, evidente come non si vogliano affrontare le questioni al cuore. Per noi, in realtà, nulla di nuovo, da tempo si vuole “seppellire” Dax, basta guardare all’appello/manifesto della 3gg in cui si mette dalla lotta per la casa a no expo, quasi a voler “tenere insieme” pezzi. Nulla di nuovo, nel senso che anche questa presentazione ha avuto il sapore di un’iniziativa “pro domo propria”.
 
D’altra parte, bisogna dire che forse non era la sede il contesto in cui approfondire.

Le ho regalato copia dell’opuscolo Mara e le altre e la locandina per il 20° dell’mfpr. Il 23 aprile saranno all’ex carcere di palermo e nei prossimi giorni in Puglia...