15/10/14

A fianco delle donne del Rojava

 La carta del Rojava come primo bersaglio delle milizie dell’Isis. E lo sguardo pruriginoso dei media occidentali sulle guerrigliere curde.
“Donne vendute al bazar per cinque dollari. Esposte come buoi, con il cartellino del prezzo al collo, condannate a essere oggetto sessuali per i militari dell’Isis: schiave del Califfato”. È la denuncia di Nursel Kilic, rappresentante internazionale del Movimento delle donne Curde. “Secondo le stime ufficiali le donne rapite e vendute nei bazar sono 3,000, in realtà sono molte di più. 1200 poi giacciono nelle prigioni nella zona di Mosul e lì vengono violentate, torturate, subiscono ogni genere di violenza.”
“Il genocidio in atto colpisce in maniera particolare il diritto alla vita e la libertà delle donne. Come è già avvenuto in altri recenti conflitti, dal Kosovo al Rwanda, le pratiche di genocidio includono atti sempre più visibili ed estesi di violenza nei confronti delle donne come gruppo. I femminicidi di massa perpetrati da ISIS possono essere considerati crimini di guerra e contro l’umanità, non solo perché costituiscono una strategia politica dello “Stato islamico”, ma anche perché sono rivolti a colpire in maniera specifica e sistematica donne e bambini. Gli atti di femminicidio sono utilizzati dalle milizie dell’ISIS come strumento di dominio patriarcale e come arma di guerra, funzionale allo sterminio delle minoranze etniche e religiose e per la distruzione del modello del Rojava”. Barbara Spinelli
Uno straordinario esperimento di comunità altra che da più di due anni il popolo del Rojava – regione a maggioranza curda nel nord della Siria – sta portando avanti, liberando il proprio territorio e sperimentando una vera e propria rivoluzione sociale, fondata sulla partecipazione dal basso, l’uguaglianza tra uomini e donne e il rispetto dell’ambiente.
La carta del Rojava è un testo che parla di libertà, giu­sti­zia, dignità e demo­cra­zia; di ugua­glianza e di «ricerca di un equi­li­brio eco­lo­gico». Nel Rojava il fem­mi­ni­smo è incar­nato non sol­tanto nei corpi delle guer­ri­gliere in armi, ma anche nel prin­ci­pio della par­te­ci­pa­zione pari­ta­ria a ogni isti­tuto di auto­go­verno, che quo­ti­dia­na­mente mette in discus­sione il patriar­cato. E l’autogoverno, pur tra mille con­trad­di­zioni e in con­di­zioni duris­sime, esprime dav­vero un prin­ci­pio comune di coo­pe­ra­zione, tra liberi e uguali. E ancora: coe­ren­te­mente con la svolta anti-nazionalista del Pkk di Öca­lan, a cui le Ypg/Ypj sono col­le­gate, netto è il rifiuto non solo di ogni asso­lu­ti­smo etnico e di ogni fon­da­men­ta­li­smo reli­gioso, ma della stessa decli­na­zione nazio­na­li­stica della lotta del popolo kurdo. Basta ascol­tare le parole dei guer­ri­glieri e delle guer­ri­gliere dell’Ypg/Ypj, per capire che que­sti ragazzi e que­ste ragazze hanno preso le armi per difendere la loro terra, ma soprattutto per affer­mare e difen­dere que­sto modo di vivere e di coo­pe­rare.
Lotta contro il patriarcato e contro il capitalismo/fascismo finalmente insieme. Lotta di genere e lotta di classe che camminano insieme, simultaneamente. Non dopo, non poi, ma qui e ora, si sperimenta una comunità altra, nuova, rivoluzionaria, nel farsi e nel darsi della lotta quotidiana. Questo ci pare essere l’elemento di assoluta rilevanza di questa resistenza, che vede le donne curde in prima linea a combattere, a difendere la propria terra e il proprio popolo, ma soprattutto ad affermare un principio di autodeterminazione personale e politica in totale conflitto con l’esistente.
E sulle guerrigliere si posa lo sguardo dei media occidentali, pronti a spingere un trend che fa innalzare le vendite delle tutine mimetiche messe prontamente in commercio dalla multinazionale H&M e a trasformare il protagonismo delle donne in gossip da cartoline patinate. La storia è lunga a questo proposito e la conosciamo bene. Dalle partigiane della guerra al nazifascismo, passando per le donne che parteciparono alla lotta armata, fino alle compagne NoTav della Valsusa. L’attenzione dei media si concentra troppo spesso e non a caso sull’estetica, su fatti privati e sulla narrazione da rotocalco, mistificando e togliendo senso e sostanza al protagonismo e alla capacità di autodeterminazione di queste donne.
Al fianco delle donne del Rojava.
Collettivo femminista Medea (www.medea.noblogs.org)

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