27/02/10

1° MARZO, AL FIANCO DELLE IMMIGRATE

1° MARZO, AL FIANCO DELLE IMMIGRATE

1 marzo giornata di lotta degli immigrati

Le lavoratrici del Mfpr in questa lotta portano, in particolare, il sostegno alle donne e alle lavoratrici immigrate.
Pensiamo che a maggior ragione per le donne lo sciopero e la mobilitazione non possono che essere GLOBALI.
Perché le immigrate fanno tutto, dai lavori nei servizi e nelle realtà lavorative più pesanti, faticose e spesso umilianti, ai lavori nelle case come badanti, domestiche, al lavoro come prostitute, ecc.
Perché subiscono, come immigrate e come donne, non una ma una triplice oppressione, fatta di supersfruttamento, razzismo, sessismo, a cui si accompagna l'intreccio tra oppressione patriarcale nelle famiglie d'origine e oppressione moderno/imperialista del nostro paese.

Per le donne immigrate la lotta per il lavoro, per il diritto al permesso di soggiorno, alla cittadinanza, la lotta contro il razzismo, è strettamente legata alla lotta contro il sessismo, fatto di doppie discriminazioni sessuali, di 'luoghi comuni' maschilisti che offendono la dignità e i grandi sacrifici delle immigrate, ma anche di stupri di Stato, vedi ciò che accade all’interno dei Cie.
Non solo, questo governo che ha uno schifoso disprezzo per le donne e soprattutto per le donne immigrate (che sono buone solo se possono essere usate come prostitute per i Bertolaso di turno, come donne-tangenti) vuole anche in Italia imporre - come sta accadendo in Francia con il divieto del burga – la sua (in)civiltà con leggi fasciste e con la repressione.

Noi sosteniamo la mobilitazione delle immigrate perché pensiamo che l'unità necessaria tra donne italiane e donne immigrate, tra lavoratrici italiane e lavoratrici immigrate, passi dal nostro sostegno ora all'autorganizzazione delle immigrate, e alle loro rivendicazioni:
diritto di cittadinanza per chi lavora
permessi di soggiorno per tutti
uguaglianza dei diritti sui posti di lavoro e in materia di precarietà e disoccupazione
chiusura dei CIE,
abolizione del pacchetto di sicurezza anti immigrati

Lavoratrici del Movimento femminista proletario rivoluzionario

INVITIAMO LE IMMIGRATE IN LOTTA A PORTARE IL LORO CONTRIBUTO E LA LORO RIBELLIONE ALLA DUE GIORNI DEL 13/14 MARZO A TARANTO: "Bagagli per un viaggio delle donne in lotta"

Taranto: mfpr@fastwebnet.it 347/5301704
Palermo: mfprpalermo@email.it 340/8429376
Milano: mfprmi@libero.it 333/9415168
Perugia: sommosprol@gmail.com 328/7223675

blog: http://femminismorivoluzionario.blogspot

24/02/10

Lavoratrici OMSA

Amiche e amici, vi porto via un po' di tempo raccontandovi quello che sta succedendo in questi giorni a Faenza, più o meno nell'indifferenza generale.
Lo stabilimento OMSA di Faenza (RA) sta per essere chiuso, non per mancanza di lavoro, ma per mettere in pratica una politica di delocalizzazione all'estero della produzione. Il proprietario dell'OMSA, il signor Nerino Grassi, ha infatti deciso di spostare questo ramo di produzione in Serbia, dove ovviamente la manodopera, l'energia e il carico fiscale sono notevolmente più bassi. Questa decisione porterà oltre 300 dipendenti, in maggior parte donne e non più giovanissime, a rimanere senza lavoro. Le prospettive di impiego nel faentino sono scarse e le autorità hanno fatto poco e niente per incentivare Grassi a rimanere in Italia o per trovare soluzioni occupazionali alternative per i dipendenti, salvo poi spendere fiumi di parole di solidarietà adesso che non c'è più niente da fare.
Da giorni le lavoratrici stanno presidiando i cancelli dell'azienda, al
freddo, notte e giorno, in un tentativo disperato di impedire il trasferimento dei macchinari, (tentativo documentato anche da Striscia la Notizia sabato scorso, ma ad onor del vero il servizio è stato brevissimo e piuttosto superficiale).
Personalmente, non sono coinvolta nel problema, ma trovo sempre più allucinante che in Italia non esistano leggi che possano proteggere i lavoratori dall'essere trattati come mere fonti di reddito da lasciare in mezzo a una strada non appena si profili all'orizzonte l'eventualità di un guadagno più facile.
Le lavoratrici OMSA invitano tutte le donne ad essere solidali, boicottando i marchi Philippe Matignon - Sisi - Omsa - Golden Lady - Hue Donna - Hue Uomo - Saltallegro - Saltallegro Bebè - Serenella. Vi sarei grata se voleste dare il vostro contributo alla campagna, anche solo girando questa mail a quante più persone potete. Grazie mille per l'aiuto e il supporto che vorrete dare a queste lavoratrici, ennesime vittime di una legislazione che protegge più gli imprenditori dei dipendenti.

22/02/10

1 MARZO 2010: SCIOPERO DEI MIGRANTI

1 MARZO 2010: SCIOPERO DEI MIGRANTI, UN’OCCASIONE DA NON PERDERE .

Le leggi in materia di immigrazione, dalla Turco-Napolitano, alla Bossi-Fini, fino al Pacchetto sicurezza ed all’introduzione del reato di clandestinità, fanno parte di una più generale ristrutturazione del mercato del lavoro, avviata tra l’altro dai governi di centro sinistra con il Pacchetto Treu, approfondita dalla legge 30 e dalla riforma del ccnl del centro destra.
La flessibilità è il comun denominatore di un medesimo progetto che ha il principale obbiettivo di abbassare il costo del lavoro di tutta la forza-lavoro e di affermare il primato dell’impresa sugli individui.
Gli immigrati soprattutto se “irregolari”, sono una “risorsa” per molti imprenditori, in particolare delle piccole e medie imprese che, potendo usare la loro maggiore ricattabilità e subordinazione, impongono loro uno sfruttamento e trattamenti salariali altrimenti intollerabili.
Condizione questa che si aggrava ancor di più nel caso delle donne “irregolari”.
La rivolta di Rosarno, ha squarciato quindi il velo che le imprese, non solo meridionali, con la complicità dei governi cercano di stendere rispetto all’equazione clandestinità=lavoro nero=schiavitù. Si tratta infatti di moderne forme di schiavitù, sia nelle retribuzione che nei ritmi di lavoro, ma anche nelle più generali condizioni di vita.
Con l’aggravarsi della crisi e l’accesso a forza lavoro ricattabile peggiorano anche quelle dei lavoratori italiani.
Imprese, banche e governi cercano di scaricare i costi della crisi economica da loro provocata su tutti i lavoratori. Licenziamenti, cassa integrazione, abbassamento dei salari, disoccupazione, difficoltà a permettersi una casa, taglio alle spese sociali, dalla scuola alla sanità, sono diventati una dura realtà anche per milioni di lavoratori italiani.
Per i migranti tali effetti sono ancora più disastrosi, poiché per il tipo di lavoro che svolgono e per la condizione di non cittadini in cui si trovano, non usufruiscono nemmeno di quei miserabili ammortizzatori sociali previsti per la maggioranza dei lavoratori italiani; inoltre la perdita del lavoro significa spesso ripiombare nella condizione di clandestinità perché la infame legge Bossi-Fini lega il possesso del permesso di soggiorno al mantenimento di un’occupazione.
In questo contesto le politiche razziste e populiste, dei governi di centro destra, con il concreto sostegno di esponenti ed amministratori di centro sinistra, mirano a contrapporre i lavoratori immigrati ai lavoratori italiani (precari e non, a nero, inoccupati), favorendo un pericoloso clima di odio sociale. L’immagine dell’immigrato-ruba-lavoro-terrorista-violentatore-criminale, da respingere/rinchiudere, viene utilizzata con l’unico scopo di indicare un capro espiatorio sul quale scaricare le tensioni prodotte dalle precarietà dell’esistenza. In tal modo si rendono più ricattabili e succubi gli immigrati che sono costretti ad accettare condizioni ancora peggiori alimentando un circolo vizioso che si ritorce sugli stessi lavoratori italiani.
In realtà padroni e loro rappresentanti politici non vogliono e non possono espellere l’enorme massa di migranti di cui hanno estremo bisogno e vorrebbero rimandare a casa solo quelli che eccedono le loro esigenze di sfruttamento. Ecco perché è una deriva autolesionista aderire alle campagne xenofobe e razziste anche da parte di proletari italiani.
Siamo, allora, di fronte ad un bivio: farsi trascinare da questa perversa spirale oppure respingerla al mittente riconoscendo nei migranti dei propri fratelli di classe, per quanto al momento trattati in maniera molto peggiore di noi, con i quali abbiamo in comune gli stessi nemici, gli stessi interessi di fondo, con la prospettiva di difenderci insieme o precipitare nel baratro di uno scontro tra sfruttati e di un comune ulteriore peggioramento.
Infatti, difendere i diritti di migranti, quelli di cittadinanza come quelli lavorativi, non è solo un atto di umanità di fronte alle criminali politiche messe in atto nei loro confronti, ma è l’unica arma che abbiamo per contrastare in maniera efficace la politica di chi li vuole utilizzare come massa di ricatto e di pressione nei nostri confronti.
Le lotte dei migranti in alcune aziende del nord e ancor di più i ribelli di Rosarno, ci parlano, (ed è questo l’aspetto più importante) di dignità e determinazione, voglia di protagonismo, di rivendicazione di diritti elementari: lavoro/reddito, casa, salute, istruzione, gettando ponti verso quel mondo del lavoro, in tutte le sue sfaccettature che è drammaticamente aggrappato a qualche straccio di garanzia che viene continuamente erosa dalle politiche antisociali di questo governo.
Si tratta di raccogliere questo importante segnale nella prospettiva di sperimentare e organizzare lotte che mirino a conquistare migliori condizioni di lavoro e di vita per tutti, al di là del colore della pelle, della religione, della cittadinanza, cominciando dal sostegno alle rivendicazioni specifiche degli stessi migranti che li rendano meno ricattabili.
La giornata di lotta del 1° marzo proclamata anche in Italia, in coincidenza con lo sciopero dichiarato dai migranti in Francia, rappresenta quindi un’occasione importante per rompere questa artificiale e velenosa dicotomia tra lavoratori migranti e non. Essa assume un carattere transnazionale e segna la ripresa delle mobilitazioni contro la “Fortezza Europa”.
Durante quella giornata è quanto mai necessario promuovere scioperi e/o fermate nei posti di lavoro, blocchi e mobilitazioni nei territori per rafforzare le rivendicazioni dei migranti e per esprimere la nostra ripulsa contro il clima e la politica razzista portata avanti dal governo e dalle istituzioni.
Questo vuol dire la scesa in campo ed un impegno preciso di tutto il sindacato.
I sindacati confederali, infatti, nonostante abbiano, soprattutto al nord, centinaia di migliaia di iscritti immigrati, non fanno quasi nulla di concreto per la tutela dei loro diritti dentro e fuori i posti di lavoro, anzi spesso li utilizzano come alibi per portare avanti una politica di ulteriore subalternità alle pretese padronali di ottenere nuovi peggioramenti generalizzati.
Anche di fronte all’iniziativa del 1 marzo hanno in buona sostanza tergiversato accampando, quando pure si sono espressi, inconsistenti motivazioni. E’ ora di prendere una chiara posizione ed assumere iniziative concrete e vere di sostegno alle lotte e ai diritti dei migranti a partire proprio dal 1 marzo.
Promuoviamo delle mozioni nel corso dei congressi in corso e nelle assemblee sui luogo di lavoro per i contratti e le vertenze in atto, affinché la questione dei diritti dei migranti ed il sostegno alle loro rivendicazioni venga messo al centro della mobilitazione per respingere gli attacchi padronali.
Ma soprattutto facciamo del primo marzo una base di partenza per avviare ovunque dei comitati unitari composti da migranti ed italiani in cui paritariamente si discuta come promuovere la comune lotta contro il razzismo e per una più efficace difesa della condizioni di vita e di lavoro.

Rete anticapitalista campana

Per inviare adesioni scrivere a: reteanticapitalistacampana@gmail.com
Prime adesioni:
Salvatore Musella r.s.u. Comdata care – Napoli; Vincenzo Sarnataro r.s.a. Cobas Astir – Napoli; Salvatore Mazziotti r.s.a. Arpac Multiservizi – Napoli; Carla La Daga esecutivo prov. Cobas –Napoli; Luca Tavano r.s.a. Cobas S.i.s. s.p.a – Napoli; Tullio Coppola r.s.u. Cobas scuola – Napoli, Dario Parisi (Cobas scuola- Napoli), Giuseppe Gigante- RSA Sindacato Lavoratori in Lotta S.I.S. (Provincia di Napoli), Cooperativa Cantieri Navali Megaride (Napoli), Antonio Pellilli (Rsu FP-CGIL Comune di Pozzuoli), Salvatore Guitto (Rsu FP-CGIL Comune di Pozzuoli), RSU/FIOM-Officina Regione Campania-LABRIL S.R.L., Roberto Taddeo lavoratore Enel Napoli, Raffaele Piccolo lavoratore Asl Napoli 1, Antonio Palumbo lavoratore Arpac Multiservizi; (Eduardo Sorvillo; Tania Castellaccio; Gianni Manzo; Peppe Arola; Gennaro Curallo; Nadia Vallifuoco): Collettivo Operatori Sociali Napoli; (Umberto Sirigatti; Pina Elmo): lavoratori comune di Napoli; Michele Tassaro (RSU Ospedale Cardarelli); Biagio Narciso, docente istituto professionale “S. Pertini” AFRAGOLA (Na); Mauro Farina - COBAS Scuola Napoli; Gennaro Massimino Cobas Sanità precari/e;
(Bartolomeo Matarazzo; Carmela Teta; Valeria Vinci; Marcella Negre; Maria Vincenza Di Roberto; Anella Capasso; Daniela Belaeff; Gianfranco De Rosa; Costantino Brancaccio; Simona Martucci; Fiorella Borza; Amelia Rea; Mauro Galliano; Anita Borriello; Alessandra Gerotto; Giuseppe Lombardi; Raffaella Di Cristo; Milena Pelliccia; Carmela Mambelli; Annamaria Imparato; Paolo Solli; Alessandro Molli; Daniela Cecchini; Annunziata Ismeno: Rosa D'orto; Elena Curcio; Rita Del Peschio; Marianna Musella; Enrico Califano; Luigi Lopez; Annunziata Barbaro; Maria Anna Illiano; Mariarosaria Costagliela; Nunzio Musella; Rosaria Prato; Vincenzo Pane; Antonella Peluso): iscritti Cobas in comandata Care; Antonio Carlo docente Università di Salerno; Salvatore Palidda docente Università di Savona e di Genova; Peppe Raiola RDB/CUB SCUOLA -Reggio Emilia, Enzo Bertuccelli - Flaica CUB Messina, Filippo Sutera - FMLU CUB Messina, Gianni de Bellis, RSA della CGIL della scuola ITI Lucarelli di Benevento; Anna Patini- (r.s.a. cgil a.o.u. "s. Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona- Salerno). Cobas slai Regione Lombardia; Slai Cobas delle cooperative lombarde (Leonardo -Origgio-, Sempione -Origgio-, T.I.M.E. Service -Turate-, Ucsa -Brembio-, Papavero -Cerro al Lambro-, Novaplanet -Caleppio di Settala e Liscate-, Ortofin -Ortomercato di Milano-, Serim-Assago-.); Slai Cobas Poste; Slai Cobas ASF Como; Slai Cobas ICP; Slai Cobas Salvini; Cinzia Guardi (RSU Slai cobas IMPS Milano); Daniele Totaro (rsu Slai Cobas ATM); Francesco Rizzo (slai cobas Intesa S. Paolo); Roberto Maestri (slai cobas Italtel); Umberto Nicosia (Slai Cobas Aereoporto Linate Milano); Paolo Maio (pensionato), Enzo (slai cobas provincia di Varese); Fulvio Di Giorgio (Coordinatore provinciale Slai Cobas di Cremona); Luigi Cingi (New Holland di Modena); Sercia Valeria RSU ( Esselunga Milano); Guglielmo Musso (Agenzia delle Entrate di Roma);

21/02/10

Noi che odiamo così tanto il burqa

"Noi che odiamo così tanto il burqa non permetteremo che sia l'imperialismo occidentale a togliercelo. Sarebbe come uno 'stupro'!"
da una dichiarazione della giornalista/attrice afghana Niloufar Pzira

Questo forte appello della giornalista/attrice afghana Niloufar Pzira che nel Novembre 2001 riprendemmo e rilanciammo nell'ambito di una campagna che facemmo a livello nazionale a sostegno delle donne afghane contro la guerra imperialista degli Usa e paesi alleati, è oggi più che mai è attuale e vero.
Ciò che accade in Francia relativamente alla questione burqa e che in certe forme inzia ad essere discusso in Italia, vedi le recenti dichiarazioni della Carfagna, non è altro che l'ennesima sporca strumentalizzazione dei governi imperialisti che per anni hanno accettato senza muovere un dito la brutale condizione di schiavitù delle donne vedi l'Afghanistan per esempio, sostenendo e finanziando il governo dei Talebani, e ora si allargano la bocca con proclami di volere portare "la libertà" alle donne. Ma di quale "libertà" parlano ??? e parliamo???
Chi dovrebbe rispettare i diritti umani e civili dei popoli e in questo caso delle donne, essere difensori della loro dignità??? Un Sarkozy, un Berlusconi, una Carfagna? che mentre parlano relativamente alla questione burqa, di "primi e concreti passi per liberare le donne immigrate dall'oppressione", istituiscono ogni giorno uno stato di polizia all'interno dei propri paesi, e portano avanti politiche che calpestano sempre di più i diritti delle donne, soprattutto le più povere, le immigrate, lasciando inalterati ANZI IMPONENDO E POTENZIANDO BEN ALTRI BURQA CHE OPPRIMONO E VOGLIONO ANNULLARE LE DONNE IMMIGRATE VEDI LE CONDIZIONI IN CUI SI VIVE IN FRANCIA NELLE BANLIEUS, VEDI NEL NOSTRO PAESE I CIE DOVE LE DONNE IMMIGRATE NON SOLO VENGONO RECLUSE MA ANCHE VIOLENTATE , VEDI IL PACCHETTO SICUREZZA FASCISTA E RAZZISTA, VEDI IL REATO DI CLANDESTINITA'

Certo che il burqa è una delle forme visibili dell'oppressione femminile soprattutto nei paesi oppressi dall'imperialismo ma non è certo la classe borghese che può eliminare le basi materiali da cui sorge l'imposizione del burqa alle donne.

A questo proprosito riporto alcuni stralci di un articolo che scrivemmo proprio allora nel 2001:

"Per rompere le catene è necessaria una lotta senza tregua, le donne devono imporre i loro diritti anche con la forza", hanno gridato le donne afghane alla manifestazione da loro organizzata per l'8 marzo in Pakistan mettendo in pericolo la loro vita.
"Noi donne dell'Afghanistan trasformeremo la nostra rabbia in forza combattiva... vi sono donne coraggiose che si stanno ribellando contro i barbari sistemi e leggi dei talebani e di altri fondamentalisti islamici.
...Le donne sono arrivate al punto di impugnare le armi contro i loro oppressori...
Le donne devono prendersi per mano e rafforzare le loro lotte, devono unire le loro forze e costruire un movimento organizzato per la rivoluzione...
Questa è la strada per la libertà e questa strada noi compagne del mfpr vogliamo appoggiare!... "
a cominciare dalla realtà concreta in cui oggi viviamo e lottiamo.

Donatella - MFPR Palermo

SOSTENIAMO LA LOTTA DI JOY, HELLEN, DEBBY, PRISCILLA E LORENCE

SOSTENIAMO LA LOTTA DI JOY, HELLEN, DEBBY, PRISCILLA E LORENCE
CONTINUIAMO LE MOBILITAZIONI

NO ALLA LORO DENTENZIONE NEI CIE

No dal carcere al campo di concentramento;

RICONOSCIMENTO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO -per Joy ed Hellen perchè hanno denunciato l'ispettore violentatore, e per tutte perchè le ragioni legittime che hanno portato alla rivolta di Via Corelli Milano sono tuttora presenti.

VOGLIAMO L'INCRIMINAZIONE E LA CONDANNA DELL'ISPETTORE ADDESSO.

Dopo aver scontato la condanna per aver preso parte alla rivolta di Corelli dell'estate scorsa il 12 febbraio Joy, Hellen, Debby, Priscilla, e Florence sono state direttamente, per un meccanismo infernale cie-carcere-cie, trasferite dalle carceri nei cie di Modena, Torino e Roma.

Le mobilitazioni messe in campo hanno ottenuto la scarcerazione delle immigrate, ma purtroppo non sono state sufficienti per interrompere questo infernale meccanismo.
Solo la generosità di diverse compagne e collettivi attivi e la rete di movimento ha permesso di mettere in piedi, in extremis, mobilitazioni sotto le carceri di Mantova e Brescia, visto che volutamente sono stati tenuti nascosti ed è stata fatta confusione sui luoghi dove si trovavano le altre immigrate.Oggi tutte e cinque sono nei Cie. E noi non dobbiamo far calare l'attenzione e la mobilitazione.

Per questo proponiamo di ORGANIZZARE PRESIDI A TUTTI I CIE dove sono state deportate le 5 nigeriane.

E di COSTRUIRE UN PRESIDIO DI DENUNCIA/INFORMAZIONE AL TRIBUNALE DI MILANO per appoggiare la denuncia di Joy contro l'ispettore stupratore e chiedere che la Magistratura la porti avanti.

E di portare, in particolare a Milano, a Torino e a Roma, questa battaglia - che dobbiamo tutte vincere - anche nel contesto della mobilitazione/sciopero degli immigrati del 1 Marzo e nelle iniziative dell'8 Marzo.

19 febbraio 2010

Le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

per contatti:


Taranto:mfpr@fastwebnet.it
Palermo: mfprpa@libero.it
Ravenna:ravros@libero.it
Perugia: sommosprol@gmail.com
Milano: mfprmi@libero.it

1° MARZO, A FIANCO DELLE IMMIGRATE

1° MARZO, A FIANCO DELLE IMMIGRATE

1 marzo giornata di lotta degli immigrati - manifestazione regionale a Bari

In preparazione del 1° marzo: TARANTO 25 febbraio ore 18 in piazza della vittoria

Il MFPR in questa lotta porta, in particolare, il sostegno alle donne e alle lavoratrici immigrate.
Pensiamo che a maggior ragione per le donne lo sciopero e la mobilitazione non possono che essere GLOBALI. Perchè le immigrate fanno tutto, dai lavori nei servizi e nelle realtà lavorative più pesanti, faticose e spesso umilianti, ai lavori nelle case come badanti, domestiche, al lavoro come prostitute, ecc. Perchè subiscono, come immigrate e come donne, non una ma una triplice oppressione, fatta di supersfruttamento, razzismo, sessismo, a cui si accompagna l'intreccio tra oppressione patriarcale nelle famiglie d'origine e oppressione moderno/imperialista del nostro paese.

Per le donne immigrate la lotta per il lavoro, per il diritto al permesso di soggiorno, alla cittadinanza, la lotta contro il razzismo, è strettamente legata alla lotta contro il sessismo, fatto di doppie discriminazioni sessuali, di 'luoghi comuni' maschilisti che offendono la dignità e i grandi sacrifici delle immigrate, ma anche di stupri di Stato.
Non solo, questo governo che ha uno schifoso disprezzo per le donne e soprattutto per le donne immigrate (che sono buone solo se possono essere usate come prostitute per i Bertolaso, come donne-tangenti) vuole anche in Italia imporre - come sta accadendo in Francia con il divieto del burga - la sua (in)civiltà con leggi fasciste e con la repressione.

Noi sosteniamo la mobilitazione delle immigrate perchè pensiamo che l'unità necessaria tra donne italiane e donne immigrate, tra lavoratrici italiane e lavoratrici immigrate, passi dal nostro sostegno ora all'autorganizzazione delle immigrate, e alle loro rivendicazioni: diritto di cittadinanza per chi lavora permessi di soggiorno per tutti uguaglianza dei diritti sui posti di lavoro e in materia di precarietà e disoccupazione chiusura dei CIE, abolizione del pacchetto di sicurezza antimmigrati

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

INVITIAMO LE IMMIGRATE IN LOTTA A PORTARE IL LORO CONTRIBUTO E LA LORO RIBELLIONE ALLA DUE GIORNI 13/14 MARZO A TARANTO: "Bagagli per un viaggio delle donne in lotta"

mfpr@fastwebnet.it
mfprpa@libero.it
3475301704 (margherita)
3408429376 (donatella)


17/02/10

"sicurezza per le donne" ... e nei CIE?

Lunedì 15 febbraio 2010, 15:49

Mara Carfagna, a Milano, parla di "sicurezza per le donne"
Ci scusi... e nei Cie?

Il giorno 11 febbraio 2010 il comune di Milano e la Ministra per le pari opportunità davano lustro a se stessi con un convegno dal titolo "sicurezza e aiuto" sulle azioni "di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne".
Sala strapiena, buona metà dei posti a sedere occupati da forze dell'ordine di vario tipo e grado in divisa da gran spolvero, moltissime donne, di quelle che ogni giorno si occupano concretamente di altre donne che hanno subito violenza, costrette a stare in piedi.
Eravamo ben certe, anche visto il pubblico, che di "prevenzione" di quello che succede alle donne recluse nei CIE non si sarebbe affatto parlato, quindi al momento della tavola rotonda abbiamo alzato dei cartelli e la voce chiedendo conto delle violenze e delle molestie sessuali perpetrate da solerti funzionari delle forze dell'ordine all'interno del centro di e identificazione ed espulsione di via Corelli e distribuendo dei volantini di informazione sulla vicenda di Joy ed Hellen, tra gli applausi di molte delle donne presenti.
A quel punto è intervenuta la digos che ci ha strappato i cartelli e ci ha spinte fuori per identificarci, non riuscendo però ad impedirci di terminare di volantinare e di rilasciare delle interviste a giornalisti presenti.
Le "ospiti non gradite" si sono poi ripresentate a sorpresa con altri 200 volantini distribuiti alle donne in uscita al termine del convegno.

Le donne che si sono incontrate al presidio del 25 novembre in piazza Cadorna e che vogliono rompere il silenzio di Milano sulle violenze nei Cie

15/02/10

RETE 8 MARZO

8 MARZO COLLEGHIAMOCI!


L'8 MARZO REALIZZIAMO UNA RETE DI INIZIATIVE DA NORD A SUD, UN COLLEGAMENTO TRA LE REALTA' DI LAVORATRICI, DISOCCUPATE, PRECARIE IN LOTTA, PER DARE VITA AD UNA RETE REALE E PERMANENTE E COSTRUIRE INSIEME UNO SCIOPERO DELLE DONNE

Tantissime sono in questi mesi le realtà di precarie, lavoratrici, operaie, disoccupate, in cui da un lato sempre si unisce l'attacco di classe al lavoro, al salario, ai diritti da parte di padroni, governo, istituzioni, all'attacco di genere: ad essere licenziate, messe in cassintegrazione, negato il lavoro, sono soprattutto le donne, verso cui vi sono spesso forme di discriminazione sessista; ma dall'altro queste lotte dimostrano che quasi sempre le donne sono in prima fila, sono le più combattive e determinate a resistere, perchè non vogliono “tornare a casa” e vogliono ribellarsi questo sistema di padroni, governo fatto di doppio sfruttamento, doppia oppressione, doppie catene.

L'8 MARZO uniamo queste lotte, dalle lavoratrici dell'Omnia di Milano alle disoccupate di Taranto, dalle precarie della scuola di Milano e Palermo, alle lavoratrici delle pulizie, alle lavoratrici Omega, dalle operaie dell'Omsa di Faenza e della Triumph di Bergamo a rischio licenziamenti, alle lavoratrici del call center di Pistoia, ecc. COSTRUIAMO UNA RETE (socializzando le iniziative, inviandoci messaggi, collegandoci telefonicamente o via e mail durante l'8 marzo) TRA LE REALTA' DI DONNE, LAVORATRICI, PRECARIE, DISOCCUPATE IN LOTTA.

UNA RETE CHE DALL'8 MARZO DIVENTI PERMANENTE, DANDO SOSTEGNO, SOLIDARIETÀ, FORZA AD OGNI LOTTA, CHE UNISCA DAL NORD AL SUD.

UNA RETE PER COSTRUIRE INSIEME UNO SCIOPERO DELLE DONNE.

Le lavoratrici, precarie, disoccupate del
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

15.2.2010

Taranto: mfpr@fastwebnet.it 347/5301704
Palermo: mfprpalermo@email.it 340/8429376
Milano: mfprmi@libero.it 333/9415168
Perugia: sommosprol@gmail.com 328/7223675

tavolo4flat@inventati.org
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"Signor Berlusconi, basta battutacce"

Da Repubblica, 15.02.2010
"Quelle donne le ho incontrate. Mi hanno raccontato le loro vite violate, strozzate, devastate"
In nome delle belle ragazze albanesi "Signor Berlusconi, basta battutacce"

di ELVIRA DONES *

Dalla scrittrice albanese Elvira Dones riceviamo questa lettera aperta al premier Silvio Berlusconi in merito alla battuta del Cavaliere sulle "belle ragazze albanesi". Durante il recente incontro con Berisha, il premier ha attaccato gli scafisti e ha chiesto più vigilanza all'Albania. Poi ha aggiunto: "Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze".

"Egregio Signor Presidente del Consiglio,

le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor ha toccato persone a me molto care: "le belle ragazze albanesi". Mentre il premier del mio paese d'origine, Sali Berisha, confermava l'impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che "per chi porta belle ragazze possiamo fare un'eccezione."

Io quelle "belle ragazze" le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A "Stella" i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. E' solo allora - tre anni più tardi - che le incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio.

Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel puttana sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell'uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l'utero.

Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un'altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. E' una storia lunga, Presidente... Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l'avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio.

In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe gliele dovevo. In questi vent'anni di difficile transizione l'Albania s'è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta. L'Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.

* Elvira Dones, scrittrice-giornalista.
Nata a Durazzo nel 1960, si è laureata in Lettere albanesi e inglesi all?Università di Tirana. Emigrata dal suo Paese prima della caduta del Muro di Berlino, dal 1988 al 2004 ha vissuto e lavorato in Svizzera. Attualmente risiede negli Stati Uniti, dove alla narrativa alterna il lavoro di giornalista e sceneggiatrice.

11/02/10

Disoccupate Organizzate Slai cobas TA

SAPPIAMO CHE LA LOTTA E' DURA, MA ABBIAMO DECISO DI ALZARE LA TESTA!

"pazienza, finita, rabbia molta - lavoro subito oppure rivolta"
"siamo disposti allo scontro duro - chiediamo lavoro stabile e sicuro"
"lavoro non polizia, lavoro non inquinamento", ecc., ecc.
Con questi e tanti altri slogan creativi, cantati, vi è stato questa mattina il corteo dei Disoccupati Organizzati slai cobas guidato dalle donne disoccupate. Un corteo molto vivace, combattivo, allegro, che si è fatto molto sentire nel centro di Taranto, chiamando altri settori di lavoratori precari a sostenere e unirsi alla lotta.
Un corteo di rivendicazione del diritto al lavoro nella raccolta differenziata, nel risanamento ambientale, al lavoro stabile e con un salario dignitoso, "vogliamo che il piano di raccolta differenziata porta a porta, con i finanziamenti regionali ottenuti anche con la dura lotta dei giorni scorsi: occupazioni del comune, blocco del ponte, blocco dei camion dell'Amiu, presidi e manifestazioni, diventi una realtà e sia una risposta ai problemi del degrado e della miseria e disoccupazione. Altro che vertici per la sicurezza e telecamere per l'ordine pubblico, unici interventi della nuova prefetta.
Ma è stato anche un corteo offensivo di denuncia forte verso la polizia e chi vuole trasformare il problema del lavoro in un problema di repressione.
Su questo sono le donne disoccupate a esprimere più ribellione.
"Sappiamo che la lotta è dura - hanno detto - ma abbiamo deciso di alzare la testa e far rispettare i nostri diritti. E nella fatica c'è la felicità di sentirsi ora come Disoccupati Organizzati una grande famiglia, tutti come sorelle, fratelli. Anche per questo non possiamo tornare a casa".
Non a caso questo problema della repressione è emerso anche oggi a fine corteo, quando i Disoccupati si sono trovati di fronte a una inutile provocazione: nonostante l'autorizzazione ad arrivare con la manifestazione sotto la Prefettura, uno schieramento impressionante di polizia ha cercato con la violenza di impedirlo. Ma con determinazione e forza i disoccupati e le disoccupate prima hanno aggirato, spingendo e forzando lo schieramento della polizia che ha dovuto arretrare, poi hanno costretto i poliziotti e la Digos a far arrivare la manifestazione sotto la prefettura.
Lo stesso è avvenuto sotto il Comune dove il rapporto tra disoccupati e polizia era almeno di 1 a 5 poliziotti.
Ma questo ha in realtà ancora una volta mostrato la paura che istituzioni e polizia hanno della lotta e della determinazione dei Disoccupati Organizzati, frutto della giustezza della loro battaglia che anche alcuni rappresentanti istituzionali di provincia e comune oggi hanno dovuto riconoscere, ammettendo che i Disoccupati Organizzati slai cobas hanno il merito di aver imposto in questa città il problema di dare delle risposte concrete all'emergenza ambiente/raccolta differenziata.
Per questo, i due incontri fatti dopo la manifestazione, con il Presidente della Provincia e con il Sindaco Stefano e assessori comunali e provinciali, hanno dovuto fare un passo avanti.
Domani, venerdì, sarà approvata la delibera che dà l'avvio alla realizzazione del progetto per la raccolta differenziata in alcune zone della città;
Mercoledì 17 febbraio verranno varati dei corsi di formazione retribuiti e finalizzati alla raccolta differenziata.
Disoccupate Organizzate Slai cobas
TA. 11.2.010

HELLEN E DI TUTTE LE IMMIGRATE INCARCERATE, VIOLENTATE DALLA POLIZIA, LE LAVORATRICI E LE DISOCCUPATE DEL MFPR DI TARANTO SONO AL FIANCO DI JOY ED RECLUSE NEI CIE. PORTEREMO LA DENUNCIA E L'APPELLO DELLE COMPAGNE DI MILANO - A CUI VA LA NOSTRA SOLIDARIETA' - IN TUTTE LE INIZIATIVE DI LOTTA CHE STIAMO FACENDO IN QUESTI GIORNI.

MFPR - Taranto

CIE: rompere il muro del silenzio

11.02.2010
Rompere il muro del silenzio: a Milano continuano le iniziative di lotta e denuncia sulle violenze nei cie


Questa mattina il comune di Milano e la Ministra per le pari opportunità davano lustro a se stessi con un convegno dal titolo "sicurezza e aiuto" sulle azioni "di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne".
Sala strapiena, buona metà dei posti a sedere occupati da forze dell'ordine di vario tipo e grado in divisa da gran spolvero, moltissime donne, di quelle che ogni giorno si occupano concretamente di altre donne che hanno subito violenza, costrette a stare in piedi.
Eravamo ben certe, anche visto il pubblico, che di "prevenzione" di quello che succede alle donne recluse nei CIE non si sarebbe affatto parlato, quindi al momento della tavola rotonda abbiamo alzato dei cartelli e la voce chiedendo conto delle violenze e delle molestie sessuali perpetrate da solerti funzionari delle forze dell'ordine all'interno del centro di e identificazione ed espulsione di via Corelli e distribuendo dei volantini di informazione sulla vicenda di Joy ed Hellen, tra gli applausi di molte delle donne presenti.
A quel punto è intervenuta la digos che ci ha strappato i cartelli e ci ha spinte fuori per identificarci, non riuscendo però ad impedirci di terminare di volantinare e di rilasciare delle interviste a giornalisti presenti.
Le "ospiti non gradite" si sono poi ripresentate a sorpresa con altri 200 volantini distribuiti alle donne in uscita al termine del convegno.

Le donne che si sono incontrate al presidio del 25 novembre in piazza Cadorna e che vogliono rompere il silenzio di Milano sulle violenze nei Cie

Per contatti: 2511@inventati.org

Cosa succede alle migranti: il girone infernale di CIE-Carcere-Cie

Questa mattina giovedì 11 febbraio alle ore 11 ho incontrato Priscilla nel carcere di Mantova, avendo chiesto al direttore di entrare in quanto consigliere provinciale.
Sono sette mesi che sta rinchiusa, senza nemmeno una visita.
Priscilla ha 22 anni, è nigeriana e la storia la conoscete, domani esce per fine pena e non lo sapeva neanche.
Non sa nemmeno che cosa l'aspetta d'ora in poi. Abitava a Conegliano. Domani verrà trasferita, posta in carico alla Questura, ma poichè non ha i documenti il magistrato, sentita l'assistente sociale, deciderà se rilascare il foglio di espulsione e dove farla "accogliere". Probabilmente in un CIE. Esce dal carcere, per aver scontato tutta la pena, entra in un lager per venire espulsa. Eppure contro la condanna è stato interposto appello e quindi la vicenda potrebbe essere considerata in itinere permettendo a Priscilla di restare in Italia. L'amministrazione potrebbe disporre anche una forma di accoglienza reale e non l'internazione in un altro centro d'espuilsione, dopo aver pagato a caro prezzo da Via Corelli in poi.
Vi aggiornerò sugli sviluppi di queste ore.
Intanto vorrei che tutti coloro che si sono fatti un'impressione consolidata dell'immigrato clandestino, proprio come hanno voluto questa legge, costume e consuetudine, possano incontrare, un giorno, dietro le sbarre invalicabili di un carcere dove non sei di nessuno, una cittadina come Priscilla. Di certo qualche dubbio su quanto hanno acquisito come convinzione, sorgerebbe in loro.
Ma non è così perchè queste ragazze che hanno avuto il coraggio di ribelalrsi e denunciare stupri e violenze nei CIE, sono state tolte dalla circolazione e attorno al loro è stato alzato un muro di silenzio, tanto da non farle comprendere cosa significhi che fuori delle altre donne si stanno interessando di loro e che fuori, la stragrande maggioranza non conosce la loro storia.

Monica Perugini

Chi vuole imporre a Joy il silenzio?

La situazione di Joy si sta facendo sempre più preoccupante, come potete leggere nel report qui sotto. Vi chiediamo di attivare tutti i vostri canali per rendere quanto più possibile pubblica questa vicenda e costruire iniziative a sostegno di questa lotta contro gli stupri e le violenze del razzismo istituzionale e dei suoi conniventi.
http://noinonsiamocomplici.noblogs.org/
Chi vuole imporre a Joy il silenzio? Il 04/02/2010 l'avvocato Massimiliano D'Alessio chiama in carcere a Como, per l'istanza depositata nel tribunale di Milano il 2 febbraio scorso, che gli autorizza l'ingresso in carcere insieme all'interprete nigeriana per incontrare in colloquio la sua assistita Joy. Dall'ufficio colloqui del carcere rispondono che è tutto a posto per la suddetta visita. Il giorno seguente, venerdì 5 febbraio 2010, l'avvocato insieme all'interprete si presenta all'ufficio colloqui del carcere di Como per incontrare la sua assistita e gli viene detto che Joy il 4 febbraio 2010 ha revocato la nomina al suo avvocato di fiducia, Massimiliano d'Alessio, nominando l'avvocata d'ufficio che le avevano assegnato in precedenza e con la quale non ha mai avuto un colloquio né un contatto.
Non avendo potuto incontrarla non ci spieghiamo come Joy abbia potuto scegliere di cambiare l'avvocato che la seguiva fino a quel momento nel processo di appello per la rivolta dello scorso agosto nel Cie di via Corelli a Milano e nella denuncia per tentata violenza sessuale nei confronti dell'ispettore capo dello stesso Cie, Vittorio Addesso, mettendosi così nelle mani di un'emerita sconosciuta.
Allora ci chiediamo: ma ha fatto la richiesta veramente Joy? Quale 'forza oscura' l'ha indotta a farlo? In questo modo non ha potuto parlare con il suo avvocato e la interprete nigeriana. Perchè succedono queste cose improvvise? C'è qualcuno o qualcosa che non vuole che si sappia come è andata la vicenda? Non abbiamo potuto vedere Joy, non abbiamo potuto parlare con Joy, non sappiamo come stia, non sappiamo cosa pensi, non abbiamo potuto dirle che il 12 febbraio, giorno della sua scarcerazione, saremo lì fuori ad aspettarla. Lei continua a lottare, ma purtroppo è in carcere dove non possiamo comunicare con lei perché loro non vogliono.
Dobbiamo far sapere a tutti che non possono zittirla perchè siamo noi la sua voce!

Appuntamento 12 febbraio ore 6.30 di mattina davanti alla stazione di Albate Camerlata Fs. Dalle ore 7 in poi davanti al carcere di Como ­ in via Bassone 11 ­ per aspettare Joy! Invitiamo chi non può venire a Como a costruire iniziative a supporto del presidio nel territorio in cui vive.

Ancora problemi per Joy, Hellen e le altre migranti incarcerate

Perché ostacolano i colloqui con gli avvocati? Ancora problemi per Joy, Hellen e le altre migranti incarcerate

Si sta forse cercando di rendere mute Joy, Hellen, Florence, Debby e Priscilla, le giovani migranti nigeriane incarcerate dopo la rivolta dell’estate scorsa al Cie di Milano? Si sta cercando di seppellire nel silenzio la denuncia di una di loro contro l’ispettore capo Vittorio Addesso per tentato stupro?

Domande inquietanti su cui è necessario fare piena luce. Si tratta di capire se in questo Paese siano state sospese le garanzie a tutela delle persone indagate e se si stia violando il rispetto dei diritti umani fondamentali.

Vogliamo chiarezza e trasparenza sulla situazione delle cinque donne nigeriane incarcerate, così come delle altre migranti, invisibili e senza nome, detenute nei Cie italiani. Vogliamo che tutte abbiano un nome, vogliamo che siano rispettati i loro diritti, vogliamo che abbiano la possibilità di comunicare con l’esterno e di far sentire la propria voce. I Cie sono luoghi di violenza, e ne chiediamo la chiusura. Ma nel frattempo avvocate e associazioni di donne devono potervi entrare.

Abbiamo saputo solo ora che fino ad oggi Joy era formalmente priva di assistenza legale “per errori burocratici”. Al suo avvocato, che si era recato al carcere di Como insieme ad una interprete per raccogliere elementi utili a integrare la denuncia di tentato stupro, è stato impedito di vederla, dicendogli che era stato “revocato” e “sostituito” dalla stessa Joy. Nessun documento scritto però lo testimoniava. Risultava soltanto una nomina all’avvocato assegnatole inizialmente d’ufficio, che Joy peraltro non ha mai accettato e che nemmeno conosce. Oggi ci spiegano che l’incarico all’avvocato D’Alessio non era stato ratificato per “disguidi tecnici” (!) e solo dopo innumerevoli pressioni si sono detti disposti a riconoscerlo.

Come mai si è ostacolato l’incontro con l’avvocato dopo la deposizione della denuncia di violenza sessuale? Come mai si impediscono i contatti con l’esterno proprio nel momento in cui si allarga la mobilitazione di molte donne che richiedono con forza che Joy e le altre non siano rimandate tra le mani dei loro aguzzini?

Il silenzio che avvolge l’esistenza stessa dei Cie, luoghi di sospensione dei diritti, e l’indifferenza generalizzata verso la violenza razzista e sessista che in quei luoghi è di casa, ci interroga nel profondo come donne e come cittadine. Chiediamo non solo alla stampa, ma all’intera città di riflettere sul livello di abuso e di non-umanità cui ci stiamo abituando.

La violenza sui senza voce mostra il volto estremo di una devastante crisi di civiltà che ha mille facce, dalla precarizzazione della vita e del lavoro fino alla criminalizzazione dei migranti in nome di ipocrite politiche securitarie.

E una volta di più sono corpi di donna al centro di questa spirale di violenza, nodo cruciale su cui nel privato, nel pubblico e nell’oscurità dei Cie si gioca la partita dei poteri vecchi e nuovi.



Le donne che si sono incontrate al presidio del 25 novembre in piazza Cadorna e che vogliono rompere il silenzio di Milano sulle violenze nei Cie


Per contatti: 2511@inventati.org

Appuntamenti:

giovedì 11 febbraio

Roma: ore 16.30 metro Piramide, volantinaggio di donne, femministe e lesbiche

venerdì 12 febbraio

Como: ore 6.30 di mattina davanti alla stazione di Albate Camerlata Fs. Dalle ore 7 in poi davanti al carcere in via Bassone 11 – per aspettare Joy!

Brescia: ore 8.45 fuori dal carcere di Verziano (Bs): presidio con striscioni, musica e interventi fuori dal carcere, dove si terrà anche una conferenza stampa.

Per partire tutt* insieme appuntamento alle 8.15 al c.s.a. Magazzino47 di Brescia.

Mantova: presidio

05/02/10

CALAMITA’ PADRONALI

l’Aquila, Messina, Haiti: “non sono le calamità naturali a uccidere”, confessano i media padronali, “ma la mano dell’uomo”. E con questa approssimazione dovremmo abituarci ad accettare gli orrori del sistema capitalistico come ineluttabili, come facessero parte della natura umana, come se fosse la natura a governare il sistema e non il contrario. Le vittime diventano colpevoli e complici al tempo stesso, da reprimere se si autorganizzano per far fronte in maniera autonoma a eventi disastrosi e delittuosi come queste calamità, che sono sempre meno naturali e sempre più padronali.

“E’ una città di cartapesta, che è andata tutta distrutta… Così si sbriciolano i palazzi dei poveri, dove è normale mettere una buona percentuale di sabbia nel cemento per risparmiare…Non sapremo mai quanta gente ha perso la vita in quelle baracche”. Così scrive Repubblica sul terremoto di Haiti. “Lasciatemelo dire, è andata bene. Il mattino del 6 aprile abbiamo pensato che i morti del terremoto potessero essere fra i 1500 e i 2000. Per fortuna invece, nonostante sia sempre doloroso, le vittime sono state 300”. Così parla Berlusconi a proposito del terremoto dell’Aquila, dove è lecito chiedersi il perché di tali aspettative da parte del premier e dei padroni che rappresenta.
Berlusconi sapeva, la protezione civile sapeva, la Regione sapeva, l’Adisu sapeva, anche la procura sapeva e il sindaco dell’Aquila, che presenziò alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo insieme a membri della protezione civile nazionale e locale, funzionari della Regione ecc. Quella commissione avrebbe dovuto approntare un immediato piano di evacuazione e mettere in allarme i cittadini invece di rassicurare, per bocca del prefetto, la popolazione che chiedeva sicurezza e denunciare il tecnico Giuliani per procurato allarme.
Ora il tecnico Giuliani è stato assolto, le sue indagini su una correlazione diretta tra accumulo di radon e terremoti ritenute attendibili. I cittadini e i famigliari delle vittime hanno denunciato la Commissione Grandi Rischi per mancato allarme, omicidio colposo plurimo e lesioni gravi.
Le inchieste sui crolli coinvolgono, naturalmente, anche progettisti e costruttori, molti dei quali ormai deceduti e i famigliari delle vittime dovranno accontentarsi di qualche capro espiatorio ancora in vita, perché è un intero sistema politico-affaristico da mettere alla sbarra, un intero sistema economico da processare. E un processo del genere non può avvenire attraverso la giustizia borghese, questa non può processare sé stessa.
E’ questo sistema economico che mercifica tutto: la vita, la salute, la sicurezza, l’ambiente. L’attuale conversione della protezione civile italiana in s.p.a. è la normazione, emblematica, di quest’aberrazione. Ora chi ha preso denaro pubblico per costruire opere insicure, chi ha taciuto affinchè crollassero, senza farsi scrupolo delle possibili vittime, gode di promozioni e riconoscimenti e continua a prendere soldi pubblici per ricostruire. Il profitto, il business della ricostruzione è sempre stato il movente della guerra dei padroni. I mass-media parlano ancora di calamità naturali, ma in tardissima serata su rai 3, nonostante il black-out informativo, si comincia a parlare di “terremoti di classe”, di calamità (alluvioni, terremoti ecc.) che provocano tanti più danni quanto maggiore è la povertà, lo sfruttamento degli uomini e dell’ambiente e la speculazione edilizia. La sicurezza si paga in soldoni, i poveri la pagano con la vita.
Questo è successo ad Haiti, a Messina e all’Aquila, dove chi voleva lasciare la casa dello studente perché fatiscente, non l’ha fatto per non perdere la borsa di studio, dove abbiamo visto gli aiuti trasformarsi in businnes e corruzione sulla pelle di terremotati sempre più poveri, i soccorsi in stato di assedio e di polizia, le tendopoli in lager, l'emergenza in dittatura e profitto per i padroni.
Parlano demagogicamente di sicurezza per scatenare la rabbia dei proletari italiani contro gli immigrati, del progetto C.A.S.E. come un vero miracolo della banda Berlusconi-Bertolaso, del modello “L’Aquila”, della protezione civile italiana come esempio per tutto il mondo.

Ma quale sicurezza? Ma quali miracoli berlusconiani?

Alla casa dello studente mancava un pilastro, mancavano le staffe, il calcestruzzo era di cattiva qualità, le colonne erano intrise di umidità, c’era un piano seminterrato abusivo, sull’ala distrutta gravava il peso di travi e pannelli solari che ne metteva a rischio la stabilità, non c’era una scala di emergenza e quella che c’era non era ben ancorata al resto dell’edificio ed è crollata, le crepe segnalate più volte dai ragazzi venivano ogni anno rattoppate senza alcun controllo di stabilità. Nessun adeguamento al rischio sismico, neanche durante la ristrutturazione, è stato eseguito, nonostante si sapesse che quell’edificio non era a norma, che quell’edificio sarebbe comunque crollato anche senza un terremoto. Il vero miracolo è che quell’edificio abbia retto fino al 6 aprile 2009!
Il progetto C.A.S.E., fiore all’occhiello dei padroni assoluti, dell’auto-premiata ditta Berlusconi & Bertolaso fa già acqua da tutte le parti: ci piove dentro, le tubature col gelo si spaccano, fughe di gas e vie di ingresso sbarrate dal fango, bulloni, pensiline e altri componenti metallici spazzati via dal vento. Il vero miracolo è stato far arrivare un’ambulanza alla piastra 9 di Pagliare di Sassa! Il vero miracolo, per i fortunati che risiedono in quelle case, è trovare un tecnico del progetto C.A.S.E. che dalla Lombardia venga all’Aquila per risorvergli un problema!
Il vero miracolo è che il terremoto è avvenuto di notte e prima di pasqua, dopo essersi fatto sentire per 4 mesi, altrimenti avrebbe fatto molte più vittime tra studenti, impiegati e lavoratori pendolari!
Il vero miracolo è spiegare come è possibile che l’ospedale, la prefettura, i centri nevralgici della gestione dell’emergenza in un territorio ad alto rischio sismico siano potuti crollare!
Il vero miracolo sono i lavoratori immigrati che lavorano al progetto C.A.S.E.: sono ancora vivi, nonostante siano costretti a vivere in condizioni disumane, precarie e di supersfruttamento! Sono le lavoratrici che puliscono quelle C.A.S.E., lavorando 11-12 ore di seguito (a volte dalle 7 del mattino fino alle 2 di notte) senza acqua né luce per 5 euro l’ora!
Sono gli sfollati, il 70% dei quali non è stato beneficiato dal progetto C.A.S.E. e vive ora decimato tra gli alberghi (pagati profumatamente con soldi pubblici fino a luglio 2010), abitazioni dentro e fuori regione messe a disposizione da parenti o amici o nelle proprie case inagibili, mettendo a repentaglio la propria sicurezza perché non hanno i soldi per riparare le proprie case o per pagare un affitto. Sono, non dimentichiamolo, gli oltre 16.000 terremotati senza un lavoro, i 4.500 cassaintegrati dell’industria, gli 8.000 precari senza sussidio.
Il vero miracolo sono gli studenti invisibili dell’Università dell’Aquila, che continuano ad essere tali anche dopo il terremoto. “In 20.000 si sono iscritti quest’anno” dichiara il rettore, ma dove sono?
Sarebbe un miracolo spiegarlo, pochi avranno la “fortuna” di alloggiare nella nuova casa dello studente, costruita con soldi pubblici ma di proprietà della curia, come la nuova residenza del vescovo! Gli altri non sanno dove alloggiare, sperduti nei paesini a fare i pendolari o a casa propria i fuori sede.
Il vero miracolo è che questi studenti riescano ancora a studiare con profitto in queste condizioni!
Ma si sa, i miracoli li fa solo Dio e i suoi ministri e il neoministro in pectore Guido Bertolaso ha voluto sostenere i poveri e le donne di questa città, regalandone un altro bel pezzo alla curia per una nobile causa: costruirvi, sempre con denaro pubblico, il nuovo complesso religioso del frati minori con tanto di mensa dei poveri, convento, chiesa e alloggi per madri in difficoltà, tutti ovviamente a gestione ecclesiastica. Ma bisognava pur rimpinguare le povere casse del Vaticano! Altro che laicità, altro che mense popolari e case delle donne o dello studente, altro che beni comuni, altro che sicurezza, altro che miracolo italiano! A noi “comuni mortali”, di comune e di sicuro spetta solo la mortalità e la precarietà.

A padroni, mafiosi e vaticano vanno affari di miliardi del miracolo italiano!

5.02.2010
Luigia, per una rete di soccorso popolare