25/04/09

25 Aprile 2009: Corteo a Piazza Verdi ore 18,00 - Palermo


Non permettiamo che sulle donne questo sistema avanzi nella marcia verso il moderno fascismo In una società di classe come la nostra, i governi imperialisti e capitalisti al servizio della borghesia, per salvaguardare e mantenere il loro sistema di dominio fatto di sfruttamento e oppressione, scaricano le conseguenze dell’ attuale crisi globale sulle masse popolari, sui lavoratori, sugli operai, sui proletari e in particolare stanno avanzando rapidi per peggiorare la condizione di di lavoro e di vita delle donne. Le donne sono tra le più colpite da questa crisi che sta causando la perdita di milioni di posti di lavoro in tutto il mondo e anche nel nostro paese sono le prime a pagare con licenziamenti, cassaintegrazione, aumento della precarietà del lavoro e della vita, tagli dei servizi sociali, reintroduzioni di discriminazioni su maternità, stato sessuale che si uniscono alle disparità già esistenti su salari e diritti. I governi ancor di più in questa fase per difendere gli interessi della classe borghese, mettono in campo politiche sempre più reazionarie e in questo, il governo Berlusconi, fa pienamente la sua parte cercando di liberarsi il campo da ogni opposizione alla sua politica e di reprimere ogni tipo di ribellione e lotta delle masse popolari, dei lavoratori. Voler ottenere a tutti i costi la riforma istituzionale, elettorale e giudiziaria a favore e tutela dei borghesi e potenti corrotti al potere, il monopolio dei mass media, lo stravolgimento della Costituzione nata dalla resistenza antifascista, per non parlare dell’attacco al diritto di sciopero, al contratto collettivo nazionale, l’imposizione di uno stato di polizia e di politiche sempre più repressive, tutto questo è la chiara dimostrazione di si vuole avanzare spediti verso un moderno fascismo. In particolare poi verso le donne si mettono rapidamente in campo tutta una serie di provvedimenti che affiancati da una martellante campagna “moralizzatrice” clerico/fascista vorrebbero ricacciarle indietro, nel “focolare domestico” affinchè si occupino solo della “sacra famiglia”, “unica risorsa insostituibile per la società” come grida a gran voce il Vaticano di Ratzinger , quella “risorsa” necessaria a distinguere nettamente i ruoli imponendo, oggi come ieri, un unico ruolo nella famiglia considerato come naturale sin dalle origini e pertanto immutabile, moglie e madre, angelo del focolare, vero e proprio pilastro della famiglia. Quella famiglia che ancor di più oggi nella crisi globale diviene “vera cellula” basilare della società capitalista in pericolo che deve servire a questo sistema sociale come importantissimo ammortizzatore sociale per attutire i colpi che quotidianamente si ricevono dall’esterno da parte delle politiche governative che hanno effetti sempre più devastanti (disoccupazione, precarietà, carovita, pesanti tagli ai servizi sociali) e che deve essere sempre più funzionale alla marcia della borghesia verso il moderno fascismo. Ma questa famiglia è invece per le donne, in particolare quelle delle masse popolari, la maggioranza, un ritorno al moderno medioevo in cui sempre più frequentemente accadono tragici episodi di violenza che trovano la loro manifestazione più eclatante nelle uccisioni di mogli, figlie, sorelle… ad opera di mariti, fidanzati…considerate come loro proprietà, nell’ambito di un accentuarsi di concezioni sempre più reazionarie e maschiliste generate dall’ attuale realtà sociale e politica che usa e strumentalizza gli stupri come un’ arma nella marcia verso il moderno fascismo. Il governo Berlusconi infatti, con una martellante e quotidiana campagna mediatica razzista e superallarmista che attribuisce agli immigrati in quanto tali gli stupri, la vera causa di pericolo per le donne spingendo, nel pieno sviluppo di raid fascisti, organizzazioni neonaziste come Forza Nuova contro chiunque abbia la fisionomia di immigrato, parallelamente ad una campagna volta a misure di controllo e restrittive della libertà delle donne, per cui le donne dovrebbero andare in giro sempre accompagnate da maschi, meglio se militari o poliziotti, e dovrebbero non uscire ma restare a casa (ma dentro casa chi ci difende poi dal marito violento???), vara un “pacchetto sicurezza” razzista e moderno fascista che in nome e sui corpi delle donne da un lato attacca i più elementari principi democratici costituzionali, impone quartieri e città sempre più militarizzati lasciando poi che i fascisti si rafforzino nel paese e creando un clima oscurantista/emergenziale, terreno fertile per la coltivazione di idee e pratiche fasciste, maschiliste, di sopraffazione che sono causa delle violenze sessuali; dall’altro usa gli strupri per distogliere l’attenzione dalla crisi, dalle pesanti conseguenze e misure che il governo mette in atto per peggiorare le condizioni di vita di tutti i lavoratori, di tutta la popolazione e doppiamente delle donne.
Contro tutto questo oggi 25 Aprile vogliamo gridare ancora più forte
che non c'è altra strada che la lotta auto organizzata delle donne!!!
Guardando alle tante donne del nostro paese che come parte determinante della lotta partigiana doppiamente si ribellarono al fascismo e nazismo, vogliamo essere oggi in prima fila nella lotta sociale e politica contro i governi al servizio del sistema capitalista che pone come una delle basi per la sua esistenza la doppia oppressione delle donne.

movimento femminista proletario rivoluzionario

La nostra resistenza è pane quotidiano

Il 7 aprile del 1944 morivano , fucilate dai nazisti, dieci donne.
Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistolesi, Silvia Loggreolo furono assassinate al ponte di ferro perchè insieme ad altri ed altre abitanti dei quartieri limitrofi avevano assaltato un forno. Volevano riprendere la farina e il pane che i fascisti negavano alla popolazione straziata dalla guerra e destinavano, invece, ai tedeschi.
La loro morte doveva essere l'esempio che scoraggiasse chi intendeva ribellarsi, ma il ricordo del loro coraggio è ancora la forza di chi cerca giustizia.
Il 25 aprile vogliamo mantenere viva la memoria della resistenza di quelle donne che, come molte altre, pagarono con la vita un gesto di disobbedienza contro un regime che ne schiacciava la dignità.
Quella storia ci appartiene, non è finita. Ricordarle è anche parlare delle donne che ogni giorno resistono con i propri corpi alle guerre, alle privazioni, alla negazione di libertà e delle diverse forme di esistenze.
Corpi violabili ma resistenti ogni giorno nel chiuso delle case e delle famiglie dove è quotidiana l’appropriazione dell’affettività e del lavoro; negli spazi pubblici, dove le aggressioni verbali e fisiche vorrebbero ricondurci alla sottomissione e dove le lesbiche sono oggetto di stupri punitivi per rieducarle” e costringerle all’ordine eterosessuale.
La nostra resistenza è pane quotidiano perché lottare è la forma di esistenza che abbiamo scelto in una società che nega, stravolge e si appropria continuamente di ciò che siamo.

25 aprile 2009 ponte di ferro dalle 9:30 alle 10:30
in ricordo delle dieci donne giustiziate dai nazifascisti.

Insieme raggiungeremo il corteo cittadino a porta san paolo.

Antifasciste romane

21/04/09

APPELLO PER LE DONNE AFGHANE

KABUL
Quanto è successo in questi giorni a Kabul, è la CHIARA e NETTA dimostrazione della notale inultilità della presenza delle forze imperialiste nordamericane ed europee in Afghanistan. Circa 300 donne afgane hanno provato a manifestare alcuni giorni fa la loro contrarietà alla nuova legge che autorizza, tra l'altro, le violenze e i rapporti sessuali coatti all'interno del matrimonio, ma sono state fatte oggetto di una sassaiola proprio mentre la polizia interveniva per disperdere la folla. Ebbene, la sassaiola ed il linciaggio contro le donne è avvenuto proprio sotto gli occhi dei soldati (occupanti) nordamericani ed europei (erano presenti anche gli italiani) e nessuno a osato difenderle e proteggerle. La legge, che è stata approvata il mese scorso, legalizza lo stupro del marito nei confronti della moglie, ovvero obbliga le donne a "concedersi" al marito senza opporre resistenza; vieta alle donne di uscire di casa, di cercare lavoro o anche di andare dal medico senza il permesso del consorte; e affida la custodia dei figli esclusivamente ai padri e ai nonni. Il testo permette inoltre tacitamente il matrimonio di bambine e assicura agli uomini maggiori diritti in materia di eredità.
Il corteo di protesta era stato convocato da alcuni attivisti per i diritti umani ed ha trovato l'adesione di circa 300 giovani donne. Ma il gruppo si è imbattuto in una contro-manifestazione tutta maschile, che è presto degenerata in una sassaiola. "Morte alle schiave dei cristiani", hanno inveito gli uomini, mentre lanciavano sassi sulle donne.

E' possibile firmare l'appello per revocare la legge qui

Il 18 aprile a Taranto dall'Abruzzo

L’UNICO TERREMOTO CHE CI PUO’ SALVARE E’ QUELLO SOCIALE CONTRO IL CAPITALE! MA QUALE CIVILE, MA QUALE PROTEZIONE, BERTOLASO E’ UN SERVO DEL PADRONE! ALL’AQUILA SI VIVE IN STATO DI GUERRA PADRONI ASSASSINI RIDATECI LA TERRA!
Questi, tra gli altri, gli slogan scanditi sabato 18 aprile 2009 a Taranto. Alla manifestazione nazionale per la sicurezza sul lavoro, contro la salute negata e la precarietà, c’era anche una voce dall’Abruzzo. Una voce diversa da quella dipinta da TV e gran parte dei giornali, una voce che ha provato a raccontare il volto umano e criminale di un terremoto prevedibile e volutamente ignorato, che ha strappato alla vita centinaia di persone e distrutto la vita e la memoria di tutto il popolo abruzzese. Una tragedia nella tragedia, che ha finito per mettere in ginocchio, nel giro di una notte, l’economia di un’intera regione, già profondamente compromessa dalla sua collocazione geopolitica (l’Abruzzo è parte del Mezzogiorno e la sua economia è paragonabile a quella delle aree depresse del sud) e dalla crisi globale. Molti, troppi hanno perso tutto: i propri cari, la casa, il lavoro per chi ce lo aveva ancora. Centinaia di migliaia di sfollati in tutta la provincia dell’Aquila (altro che 50.000 come dice la protezione civile), evacuazioni nelle provincie di Teramo e Chieti. Lesioni e crolli ad edilizia pubblica e privata nei ¾ della Regione Abruzzo (da Il Centro del 15.04.09, pag. 12-13). A Sulmona sfollati nel fango e sotto la pioggia: le tende della protezione civile non sono impermeabili. Questi sono solo alcuni dei motivi che ci hanno spinto ad andare alla manifestazione nazionale di Taranto e ringraziamo la Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro che ha indetto tale manifestazione, per averci dato l’opportunità di denunciare pubblicamente quanto accade nel nostro territorio, rilanciando una lotta di massa e a 360° per la sicurezza sul lavoro e sulla vita. Il popolo abruzzese, colpito a morte da una catastrofe annunciata, dolosa e strumentalizzata dai media di regime, rialza la testa con la lotta e non cedendo alle lusinghe del suo boia o agli inviti a non fare polemiche perché bisogna prima pensare agli aiuti immediati, poi alla ricostruzione e poi il tempo passa, dimentichiamo tutto e servi come prima; ci risentiamo alla prossima calamità innaturale.

NO, MO’ BASTA!
Il ministero degli interni, la protezione civile, i governi nazionale e regionale sono tutti colpevoli e devono pagare e invece stanno nelle tendopoli a far vedere quanto sono buoni a darci un’elemosina dopo averci ucciso. Ricordando Marco Cavagna, il Vigile del fuoco morto per un malore mentre lavorava ad estrarre cadaveri tra le macerie, ci piace riportare lo sfogo di un altro vigile del fuoco, reduce per avvicendamento dalla zona del terremoto in Abruzzo:

" IN ITALIA VI E’ UN ENORME BARACCONE DI MAFIOSI CHE SI CHIAMANO PROTEZIONE CIVILE CAPEGGIATA DIRETTAMENTE DALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI. DETTA ORGANIZZAZIONE SI AVVALE DELL’OPERA DI NUMEROSO PERSONALE A TEMPO INDETERMINATO E DI CIRCA 3000 ASSOCIAZIONI DI "VOLONTARIATO" SENZA FINI DI LUCRO, MA PAGATE SOTTO FORMA DI RIMBORSO SPESE O AD INTERVENTO NEL CASO IN CUI SVOLGANO L’ANTINCENDIO PER SUPPLIRE LA VOLUTA ORMAI CRONICA CARENZA DI POMPIERI. QUESTI STRANI CLUBS, SPESSO COMPOSTI DA ELEMENTI DI DISDICEVOLE NATURA, RICEVONO I NOSTRI SOLDI DAGLI ENTI PUBBLICI USANDO RISORSE E MEZZI CHE DOVREBBERO ESSERE IMPIGATI NEI PROFESSIONISTI DEL SOCCORSO E DELLA PREVENZIONE. GIA’ HO AVUTO MODO DI SCRIVERE CHE IL SOCCORSO TECNICO URGENTE COMPETE AI VIGILI DEL FUOCO, QUANDO CI SONO. NATURALMENTE. NELL’AQUILANO SI REGISTRAVANO SCOSSE DI UN CERTA ENTITA’ DA OTTOBRE DELL’ANNO SCORSO E NESSUNO, NESSUNO DEGLI ADDETTI AI LAVORI HA FATTO NULLA. I VIGILI DEL FUOCO CONTINUAVANO AD ESSERE NEL NUMERO DI SEMPRE E VOI SAPETE QUANTO SIA IMPORTANTE INTERVENIRE TEMPESTIVAMENTE, POTEVANO SALVARSI ALTRE VITE CON UNA SOLA MANCIATA DI UOMINI IN PIU’, DI PROFESSIONISTI, PERO’. LA PROTEZIONE CIVILE NON AVEVA PROGRAMMATO NEANCHE DOVE METTERE LE TENDE E TUTTE LE VARIE ASSOCIAZIONI GIRAVANO NEL NULLA IN ATTESA CHE QUALCUNO DICESSE LORO A CHE CAZZO SERVONO IN QUESTA ITALIA DI MERDA! SI, DELLE ECCEZIONI CI SONO STATE, CI SARANNO SEMPRE ED HO VISTO “VOLONTARI” DI UNA PROFESSIONALITA’ SICURAMENTE SUPERIORE ALLA MIA…. CONDONI, CONDONI, CONDONI E MAFIA, ABITIAMO IN CASE DI CARTAPESTA IN UN TERRITORIO IN CUI OGNI CINQUE O SEI ANNI SI VERIFICA UN TERREMOTO DI UNA CERTA ENTITA’, MA ALLORA COME HA FATTO A FUNZIONARE LA MACCHINA DI BERTOLASO SE NON SONO MAI STATI FATTI SERI CONTROLLI STRUTTURALI SUGLI EDIFICI, SE LA PROTEZIONE CIVILE NON HA FATTO ANCORA UNA SERIA MAPPATURA DELLE ZONE SISMICHE, SE SI CONTINUA A COSTRUIRE SUL VESUVIO, SE LA MAFIA CONTINUA A FAR SOLDI SU TERREMOTI DI 100 ANNI FA, SE BERTOLASO SI OCCUPA DELLA GUERRA IN IRAQ E DEL CONCERTO DI MADONNA, SE NON DANNO ALMENO AI BAMBINI DELLE SCUOLE DOVE NON CORRONO IL RISCHIO DI MORIRCI! DOVE FUNZIONA QUESTA PROTEZIONE CIVILE!? SI SCAGLIANO CONTRO UN SANTORO MENTRE ANDREBBERO ARRESTATI TUTTI I VERTICI DELLA PROTEZIONE CIVILE, TUTTI I SINDACI DEI COMUNI INTERESSATI DAL SISMA, IN PRIMIS QUELLO DELL’AQUILA, TUTTI I RESPONSABILI DELLE COSTRUZIONI NON A NORMA COLPEVOLI DI CONCORSO IN OMICIDIO. ASSASSINI A PIEDE LIBERO…E POI VANNO AD OCCUPARSI DELLA VIGNETTA DI VAURO."

Come può funzionare la macchina della protezione civile se sia la stessa, sia il governo, sia la Regione hanno adottato una carta di classificazione sismica assassina per favorire l’abusivismo edilizio e la cementificazione del territorio? Se non sono mai stati fatti controlli strutturali sugli edifici e interventi di messa in sicurezza dell’edilizia pubblica? Dove sono finiti quei 200 miliardi di denaro pubblico stanziati dalla Cassa del Mezzogiorno, dalla Regione Abruzzo, dal Ministero dei Lavori Pubblici e da quello dell’Università e della Ricerca per costruire l’ospedale S. Salvatore? Sotto le macerie non si trovano! Eppure quelle macerie le ha consegnate, chiavi in mano alla ASL dell’Aquila, l’Impregilo, che nel 2007, mentre intascava gli ultimi 20 milioni di euro per mettere in funzione quell’ospedale, ora inagibile al 90% (con 2 bambini morti in pediatria), chiudeva con un fatturato di 2.627 miliardi di euro. L’Impregilo, che sta costruendo la TAV e “ammodernando” la Salerno-Reggio Calabria con tempi e sperpero di denaro pubblico di dimensioni bibliche (come per l’ospedale dell’Aquila). L’Impregilo, che con Lunardi come progettista e consulente dell'I.N.F.N. per il Progetto Gran Sasso, ha realizzato il traforo dello stesso con un costo finale reale di otre 1.700 miliardi di lire a fronte di un preventivo di 80 miliardi, con un costo sociale di 11 persone, di cui 10 operai morti sul lavoro, con l’allagamento e l’evacuazione della città di Assergi e lo stravolgimento di una intera vallata appenninica passata da un'economia silvopastorale ad una edile. Quelle macerie assassine le ha costruite la stessa multinazionale, l’Impregilo, a cui il governo vuole affidare la costruzione del ponte sullo stretto di Messina e delle nuove centrali nucleari (di cui una prevista nel Leccese), la stessa multinazionale a infiltrazione mafiosa che aveva in gestione il processo di smaltimento dei rifiuti in Campania, coinvolta, con l’attuale sottosegretario alla Protezione Civile Guido Bertolaso, nell’inchiesta “Rompiballe”. La stessa multinazionale a cui, presumibilmente, saranno affidati con qualche escamotage i lavori di ricostruzione.
E infatti il gruppo Fiat, che dell’Impregilo detiene una quota del 33%, ha già annunciato che provvederà alla costruzione del nuovo asilo comunale dell’Aquila.

DELLA SERIE: PRENDO I SOLDI PER COSTRUIRE OPERE INSICURE, COSI’, QUANDO CROLLANO, PRENDO SOLDI PER RICOSTRUIRLE E INSICURE COSI’ IL CICLO SI PERPETUA E CI GUADAGNO IN OGNI CASO

Chi non ci guadagna sono gli sfollati, che, se tutto andrà come dice Berlusconi, avranno diritto sì e no e non si sa quando, al 33% di risarcimento, il resto dovranno mettercelo di tasca propria. Di tasca propria dovranno pagare ancora una volta chi ha costruito loro case pericolanti, le tombe per i loro cari.

E allora chi sono i veri sciacalli? Quale la vera emergenza sicurezza? I potentati economici al governo, i palazzinari o 4 rumeni trovati senza un euro tra le macerie?

Perché tutti i vertici della Protezione Civile, il governo nazionale e locale, l’Adisu ecc. hanno ignorato l’annuncio del disastro? Tutti costoro sapevano che l’ospedale, le scuole, la casa dello studente, l’università, le case popolari sarebbero crollate di lì a poco con lo sciame sismico di progressiva intensità, che si registrava da ottobre e che aveva allarmato la popolazione procurando, con le ultime scosse del mese di marzo, gravi crepe in tali edifici.
ersino la procura era stata allertata, un anno prima del sisma, da un esposto del dentista Dante Vecchioni, che espresse forti preoccupazioni sulla stabilità dell’edificio in cui abitava per alcuni scavi in via XX settembre.
Quell’edificio, il palazzo Cioni-Berardi, si è polverizzato con il terremoto del 6 aprile, portando all’inferno, con il dentista, altre 10 vittime.
La protezione civile sapeva, Berlusconi sapeva, la Regione sapeva, l’Adisu sapeva, anche la procura sapeva e il sindaco dell’Aquila, che dopo aver mandato ai primi un telegramma per richiedere lo stato di emergenza (rimasto inascoltato), presenziò alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo, dove diversi esperti si espressero in modo per niente rassicurante.
E invece Bertolaso tranquillizzò la popolazione, chiamando “imbecille” e denunciando per procurato allarme il tecnico Giuliani e trattando come cretina tutta la popolazione del territorio abruzzese che invece chiedeva sicurezza.

Risultato:” tutti in casa o sul posto di lavoro o di studio quando ci sono i terremoti, siete al sicuro”.
Alle lavoratrici del call center di Pettino era vietato fuggire dopo le scosse o mettersi al sicuro.
E ora, nella gran parte dei luoghi di lavoro, mentre continua lo sciame sismico, i padroni impongono di rientrare senza adeguati controlli di staticità sui posti di lavoro e senza l’intervento degli RLS in tali controlli.
Per le 400 lavoratrici e lavoratori in rivolta della Transcom di Pettino, è previsto invece il trasferimento a Lecce (non è zona sismica, ma gli stessi palazzinari che hanno costruito a L'Aquila le loro tombe costruiranno lì una centrale nucleare!), ma i presunti motivi di sicurezza, prima ignorati dai superiori del call center, sono solo un pretesto per chiudere la sede in tempo di crisi.

“Sopra aju cottu l’acqua bollita”, si dice all’Aquila, prima la crisi ora il terremoto. E il governo gestisce tutto come una questione di ordine pubblico, militarizzando il territorio. Non a caso il Consiglio dei Ministri il 6 aprile ha nominato, come nuovo prefetto dell’Aquila, Franco Gabrielli, che dopo aver fatto carriera nella Digos e nel Servizio centrale antiterrorismo, è stato posto alla guida del Sisde. Ogni tendopoli, allestita comunque in ritardo, con tende insufficienti ad ospitare tutti gli sfollati, molto spesso senza acqua ed elettricità, quindi senza riscaldamento, è sotto stretto controllo militare e poliziesco e una tenda distribuisce psicofarmaci a pioggia per sedare la popolazione.
I militari, la Protezione Civile vogliono il controllo totale sulla popolazione, il monopolio degli aiuti e della solidarietà. Chi entra ed esce dal campo viene identificato e alla sera chiudono i cancelli. Mentre parli con altri sfollati devi guardarti le spalle per non farti sorprendere da una guardia che ti spia, ti sospetta di sciacallaggio e ti sbatte in galera e/o interviene con frasi di apologia al regime e alla perfetta macchina dei soccorsi di Bertolaso e Berlusconi.

Una macchina perfetta, arrivata dopo ore o addirittura giorni di ritardo che non ha resistito alle bufere di neve di Campotosto, dove le tende dell’esercito sono state spazzate via o a quelle di pioggia e vento in nottate piene di freddo, paura e precarietà di tutti i paesi evacuati, dove le tende della protezione civile sono state divelte dal vento dopo essere state infiltrate dalla pioggia. Una macchina perfetta, che occulta con disinvoltura dalla lista delle vittime e dalla camera ardente allestita presso la Guardia di Finanza, gli almeno 6 cadaveri di immigrati irregolari, raccolti per sbaglio tra le macerie, invisibili da vivi e da morti Una macchina perfetta che ora si predispone alla ricostruzione, con una new town sopra macerie di amianto e cemento bucato e sabbia marina e sangue e chissà cos’altro (magari i cadaveri dei migranti spariti dalla camera ardente il giorno dei funerali di Stato!)

NON POSSIAMO PERMETTERLO! CHI ROMPE PAGA E I COCCI SONO SUOI!

Bertolaso e Maroni si devono dimettere, Chiodi si deve dimettere, Berlusconi si deve dimettere Gli assassini, i padroni, che per aumentare i loro profitti hanno costruito le nostre tombe, le nostre case con materiale scadente e in violazione della normativa antisismica; il governo, la regione, che tale normativa non hanno adeguato alle esigenze della popolazione e del territorio ma solo a quelle del profitto DEVONO PAGARE

SOLIDARIETÀ CON GLI STUDENTI E LA POPOLAZIONE D’ABRUZZO CHE SI ORGANIZZA PER AVERE GIUSTIZIA E VERITÀ! SOLIDARIETÀ CON CHI LOTTA PER LA SICUREZZA SUL LAVORO E SULLA VITA!

Per una rete di soccorso popolare

Tantissime donne alla manifestazione di Taranto

Centinaia e centinaia di donne, ragazze hanno partecipato alla manifestazione nazionale di ieri, 18 aprile a Taranto "per la sicurezza sui luoghi di lavoro contro la salute negata e la precarietà", organizzata dalla Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro: dalle lavoratrici, precarie, alle familiari dei morti sul lavoro, alle ragazze delle Università di Napoli in lotta nei mesi scorsi, a rappresentanze di lavoratrici e collettivi femministi del tavolo 4, a compagne che venivano dall'Aquila e hanno anche fatto vivere nella manifestazione la solidarietà con le popolazioni abbruzzesi.
Certo a Taranto, città molto al sud, non era facile partecipare e altri collettivi femministi, coordinamenti donne, compagne, soprattutto del Tavolo 4 non sono potute venire, ma hanno ugualmente mandato una calorosa e partecipata adesione e sostegno.
Altre non hanno ancora compreso l'importanza di essere lì dove centinaia e centinaia di lavoratrici, ragazze lottano contro gli attacchi alle proprie condizioni di vita.
Rispetto a ieri, soprattutto due cose vogliamo sottolineare: Sono state proprio le donne proletarie, insieme ai giovani operai dell'Ilva di Taranto, a guidare il lungo corteo, rosso, combattivo, vivace che ha attraversato alcuni quartieri più inquinati della città, con la loro combattiva presenza, i loro interventi, i loro slogan, anche le loro canzoni.
Le lavoratrici delle pulizie di Taranto con contratti di poche ore e salari da fame, in lotta anche in questi giorni per il loro lavoro, portavano uno striscione: "LA PRECARIETA' CI STRONCA LA VITA", per denunciare come la fatica si somma alla precarietà del futuro, e la precarietà diventa di per sé un fattore di stress, di rischio salute fisica e psichica. Non sapere quanto durerà il lavoro, se il prossimo mese si rischia di perdere anche quel poco salario che si ha; dover essere costrette a ricorrere alla famiglia d'origine, o mantenere, a volte da sole, i figli; caricarsi, nello stesso tempo, di più del lavoro di cura in famiglia, dover provvedere a figli che non trovano lavoro e restano a casa o vi rientrano - tutto questo aggiunge alle "normali" fatiche, nuove fatiche in tutti i sensi. Queste lavoratrici hanno portato nella manifestazione tutta la loro rabbia ma nello stesso tempo una determinazione, facendo vari interventi al microfono lungo il percorso.
L'altra significativa presenza è stata quella delle familiari degli operai morti sul lavoro: dalla moglie dell'operaio dell'Ilva di Taranto, Antonino, di cui proprio ieri cadeva il 3° anniversario della morte, ad altre mogli, madri di operai dell'Ilva, dalla sorella di uno degli operai morti all'Umbria Oil, alla madre del giovane operaio morto il 1° giorno di lavoro al Porto di Ravenna, alla madre di un'altro giovane operaio di Trento morto anni fa ma sempre vivo nel suo cuore. Queste donne nei loro emozionanti e forti interventi in piazza hanno mostrato come è possibile e necessario trasformare il dolore in lotta; la sorella dell'operaio dell'Umbria Olii ha fatto un caldo appello proprio alle donne, a tutte le madri, mogli, sorelle, figlie a fare altrettanto, a unirsi, non rinchiudersi nel loro dolore, a dare il senso giusto a queste morti che non "devono mai succedere". Non è un caso che tra i familiari, sono soprattutto le donne che stanno portando una forza, una lucida determinazione a rendere irriducibile, senza sconti, questa battaglia contro le morti sul lavoro.
La forza di queste lavoratrici, di queste donne ha permesso anche una cosa nuova per Taranto, ma crediamo non solo per la nostra città: gli operai, in particolare i giovani operai dell'Ilva hanno riconosciuto, a volte sorpresi, ammirati, questa determinazione e combattività delle donne, e, cosa niente affatto scontata, si è realizzata nei fatti una unità, in cui le donne hanno espresso una irriducibilità in più e riconosciuta. Questa battaglia continuerà e chiamiamo tutte le lavoratrici, le donne, le ragazze, anche chi questa volta non è potuta venire, a portarla avanti sia a livello nazionale che nei posti di lavoro e realtà dove siamo.
Abbiamo fatto per l'occasione della manifestazione un nuovo opuscolo, con anche analisi, dati, sulla condizione di (in)sicurezza delle lavoratrici (un opuscolo in itinere, da arricchire, con altre analisi, dati, inchieste, racconti, per arrivare ad un manifesto quanto più completo della condizione delle donne su questo aspetto). Richiedetecelo, scrivendo a mfpr@fastwebnet.it o tramite tavolo4flat@inventati.org.

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario - Taranto
TA. 19.4.09

Comunicato della rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro

Dopo la Thyssen...oltre la Thyssen...la linea di classe unitaria e di massa
Il metodo della Rete vince la sfida e prosegue il suo cammino. In 5000 a Taranto (1000 per la questura e parte della stampa e tv locali che hanno dato grande risalto alla manifestazione) in una forte e spettacolare manifestazione e in una bella e toccante assemblea finale in piazza. Un lungo serpentone colorato di bandiere rosse guidato da donne proletarie e centinaia di scatenatissimi giovani operai dell'Ilva, mai scesi in piazza prima d'ora così compatti e combattivi convinti dalla linea e dalla prassi unitaria e intransigente applicata nella costruzione della manifestazione di Taranto. E' stata una manifestazione realmente nazionale con lavoratori e associazioni arrivati da Palermo e da Trento, da Torino e da Taranto, Marghera, Bologna, Ravenna, Perugia, Molfetta, Roma, Bari e Napoli. Tutti insieme, operai e lavoratori diverse organizzazioni sindacali, associazioni di familiari delle vittime del lavoro e centri sociali, militanti di partiti e organizzazioni e le punte avanzate delle università in lotta nei mesi scorsi.
Una manifestazione difficile da realizzare in una città del "profondo" sud. Una grande spinta dal basso in forma totalmente autorganizzata tra le diverse forme dello sfruttamento che si sono ricomposte in unica posizione di classe. Abbiamo anche reso la "questione Riva" una battaglia nazionale. Un padrone che i compagni di Taranto della nostra rete dello slai cobas per il sindacato di classe avevano sfidato da tempo quasi in solitudine numeri e cifre alla mano. Lo slogan "Riva assassino", gridato spontaneamente da centinaia di tarantini alla manifestazione, fanno capire perchè il padrone aveva giustamente percepito come un pericolo quella denuncia. Ora bisogna farne una questione nazionale e di classe piena insieme ai molti comitati di lotta dei lavoratori, comitati di quartiere e strutture territoriali ambientaliste presenti alla manifestazione. Il ponte simbolico tra la Thyssen di Torino e l'Ilva di taranto, che sembrava impossibile, è divantato sabato 18 aprile realtà in carne e ossa formato dagli operai che si sono incontrati al di fuori degli accordi o sostregni del sindacalismo sia confederale che di base colpevolmente "distratti" su questa mobilitazione dal basso che va avanti da mesi e che proseguirà il proprio percorso.
Sabato si sono finalmente incontrati in piazza e non in televisione i familiari di alcune delle più importanti realtà delle morti sul lavoro (Thyssen, ILVA, Umbria Olii, ecc...). Ma abbiamo anche formalizzato un nesso pratico e di lotta tra le morti sul lavoro e la lotta contro precarietà, cassintegrazione, nuova contrattazione nazionale, attacco al diritto di sciopero e estensione dei diritti ai precari. La presenza del Sindaco di Taranto è stato un ulteriore successo di questa manifestazione perchè ha simbolizzato il sostegno della città alla Rete e ha rappresentato anche un ulteriore sostegno e riconoscimento della battaglia dei familiari degli operai morti sul lavoro. Siamo consapevoli che abbiamo vinto solo un'altra battaglia che rappresenta una tappa di un percorso di lunga durata. Stiamo costruendo la rete passo dopo passo rispetto una prassi parolaia di addetti ai lavori e di sole denunce mediatiche su un tema così drammatico e centrale nella lotta contro il sistema di sfruttamento capitalistico ed i suoi governi. Abbiamo dato a tutti, senza alcuna discriminazione e con la massima buona intenzione, la possibilità di schierarsi e tanti lo hanno fatto con adesioni massicce andate anche oltre quelle già significative della riuscita manifestazione del 6 dicembre scorso. Ma soprattutto vogliamo sotolineare una partecipazione, al di là delle adesioni formali, ancora più combattiva e solida in una manifestazione in cui tutti si sono sentiti protagonisti e promotori. Con il metodo e la linea che questa Rete ha scelto sin dall'inizio.
A Taranto ora siamo più forti e autorevoli nella battaglia in quella che è attualmente la più grande fabbrica del nostro paese (per operi diretti e indotto), il primo stabilimento siderurgico d'Europa e uno dei primi 10 al mondo. In una città dove c'è anche l'ENI e la più grande Base militare italiana che si affaccia nel mediterraneo a sostegno delle guerre USA e Nato. In una regione segnata dai petrolchimici assassini e semi-dismessi di Manfredonia e Brindisi.
Ma ora dobbiamo ulteriormente rilanciare il percorso a livello nazionale verso nuove scadenze e fronti di lotta. Dalla manifestazione di taranto siamo usciti con l'impegno a rilanciare la piattaforma della manifestazione e della Rete verso uno sciopero generale nazionale. Allargheremo ulteriormente il lavoro sul campo in queste settimane a partire dalle manifestazioni del 1° maggio e in tutte le scadenze e iniziative di lotta previsti (dai processi esemplari contro la Thyssen, Eternit, Umbria Olii e tutti gli altri). Avvieremo la costruzione di una nuova assemblea nazionale per il 27 giugno a Roma con incontri preparatori territoriali e regionali a Palermo, Taranto, Napoli, Roma, Ravenna, Milano, Bergamo, Marghera, Torino, e ovunque sarà possibile, per pianificare in autunno nuove iniziative nazionali. In particolare pensiamo a una lotta sul "caso Eternit" a Casal Monferrato e una nuova giornata di lotta con mobilitazione nella prima decade di dicembre.
Da questa assemblea dobbiamo uscire con la definizione di questi appuntamenti, ma anche con nuove proposte per la costruzione della rete e della lotta tra i lavoratori immigrati e per formare una struttura di servizio

Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro

16/04/09

Lettera aperta alla Gelmini da un'insegnante terremotata

Gentile Mariastella Gelmini Ministro della pubblica istruzione

Apprendo con una certa perplessità che dopo aver portato il suo cordoglio ai terremotati aquilani e dopo aver emesso norme specifiche per evitare ripercussioni sugli alunni abbia poi deciso di riaprire le graduatorie per l'insegnamento senza tenere minimamente conto del dramma che ha colpito la classe docente aquilana. E sul bando che mio malgrado ho dovuto scaricare avventurosamente (...e sottraendo risorse a ben altre urgenze) in una tendopoli leggo anche che "La mancata presentazione della domanda comporta la cancellazione definitiva dalla graduatoria." Ma ha idea del fatto che chiedere a persone che hanno appena visto crollare le loro case (per non parlare delle scuole) di trovare una connessione ad internet già solo per informarsi sulle scadenze del bando o scoprire quale documentazione è necessaria per presentare la domanda ha proprio il sapore della presa in giro? Lascia anche perplessi il fatto che mentre tutte le categorie abbiano giustamente avuto le scadenze bloccate (mutui, bollette) sui docenti si abbatte questa incombenza assurda. Cosa dovrebbero fare i vari maestri e professori abruzzesi, abbandonare quel poco che rimane di case e famiglie per transumare sulla costa per compilare la domanda? Oppure non aggiornarle e perdere tutto quanto fatto finora? Per gli studenti ha previsto di cancellare il tetto massimo di assenze per permettere di sostenere gli esami di maturità nonostante il prevedibile superamento del monte delle assenze, ma la stessa cortesia non è toccata ai loro professori. Anzi, è addirittura prevista la cancellazione per chi non è in grado di confermare la propria posizione. Una decisione che lascia l'amaro in bocca. Le ricordo inoltre che L'Aquila è sede SSIS: oltre ai docenti già in servizio sarebbe il caso di dare risposte anche a loro, che non sanno quando e come procederà l'attività didattica ed anche quando e come affrontare l'esame di abilitazione. Che risposte intende dare a persone che stanno investendo tempo e risorse nella formazione per l'insegnamento e che in questo momento si trovano in una situazione assolutamente disastrata, come ha avuto modo di verificare di persona? Io ho la sventura di rappresentare tutte e tre le categorie: terremotata (la mia casa è, o era, dipende da cosa decideranno i tecnici del genio civile, a meno di 200 metri dalla casa dello studente), docente ed iscritta SSIS alla specializzazione per il sostegno. E vorrei tanto sapere quali risposte ha intenzione di dare, a me ed ai miei colleghi nella medesima situazione.

Prof.ssa Monja Ianni

05/04/09

ANDIAMO TUTTE A TARANTO IL 18 APRILE!

Appello alle lavoratrici, alle precarie, alle immigrate, alle disoccupate, alle studentesse, alle compagne femministe.

IL 18 APRILE VI SARA' UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE A TARANTO per la sicurezza sui posti di lavoro, contro la salute negata e la precarietà.
A questa manifestazione - che segue l'altra nazionale fatta il 6 dicembre a Torino, in occasione dell'anniversario della strage degli operai della Thyssen - vi chiediamo di portare con forza e visibilità l'attacco alla vita e alla salute di noi donne che spesso è messo sotto silenzio, che è in alcuni aspetti simile a quello che subiscono tutti i lavoratori, ma ha molti aspetti differenti legati proprio alla condizione generale di doppio sfruttamento e oppressione di noi donne.

Questa manifestazione la facciamo a Taranto perchè è la città con l'Ilva
seconda fabbrica siderurgica più grande d'Europa, che ha il record nazionale di operai ammazzati sul lavoro e da lavoro, di morti nei quartieri, tra la popolazione di tumori. E' anche la città in cui per il profitto di padron Riva (proprietario dell'Ilva) nascono bambini già condannati, malati di leucemia a soli 11 anni, la città in cui le donne non possono dare il loro latte ai bambini perchè contiene diossina, la città che ha visto anche donne morte indirettamente per le fibre di amianto respirate lavando le tute.

A Taranto si dimostra pienamente come la precarietà ti stronca la vita: centinaia e centinaia di lavoratrici delle pulizie sempre tenute nell'incertezza del posto di lavoro, costrette pure a difendere un lavoro e un salario da miseria, ad esaurirsi in questa corsa, a dover spesso da sole
occuparsi dei figli, del peso di una vita in cui normalmente i servizi sociali mancano e ora anche la crisi viene usata per scaricare tutto il peso dei tagli sulle donne.

MA L'ILVA E' ANCHE LA FABBRICA IN CUI MOGLI, MADRI DI OPERAI MORTI HANNO TROVATO NEL DOLORE LA FORZA PER COMBATTERE, ORGANIZZARSI, E FAR RIVIVERE ANCHE COSÌ I LORO CARI, CONTINUARE LA LOTTA PER LA GIUSTIZIA E LA VERITÀ PER I LORO FIGLI.
Queste donne di Taranto, come della Thyssen di Torino, come di Molfetta, come dell'Umbria Oil, come tante altre, hanno cambiato la loro vita si sono trasformate, sono diventate forti, coraggiose; per amore e per ribellione sono uscite dalle case, dando voce anche a tutte le altre donne, mogli, madri, sorelle, figlie di operai morti che ancora tacciono.
Alcune di queste donne che non vogliono neanche essere delle figure cristallizzate, che ora vogliono parlare non solo al passato dei propri cari ma anche della battaglia che stanno facendo e del futuro, che non vogliono ricevere finte solidarietà, che danno loro forza agli altri, saranno insieme per la prima volta alla manifestazione di Taranto del 18 aprile.

MA TARANTO E' ANCHE LA CITTA' IN CUI LE LAVORATRICI DELLE PULIZIE SONO IN PRIMA FILA NELLE LOTTE/RIVOLTE, anche di questi giorni, lavoratrici che per non essere costrette a "tornare a casa" stanno fuori di casa dalla mattina alla sera, a lottare, a fare presidi, occupazioni del comune, per il lavoro, per la dignità, contro le istituzioni, le aziende, i sindacati venduti, ma anche per una vita diversa.

03/04/09

SIAMO TUTTE CLANDESTINE


SIAMO TUTTE CLANDESTINE
NO al pacchetto sicurezza, NO ai medici spia

Presidio di solidarietà a Kadiatou, la donna ivoriana denunciata come clandestina da un medico dell’ospedale Fatebenefratelli di Napoli dove è andata a partorire

Evidentemente uno o più operatori sanitari, resi troppo zelanti dal loro razzismo, si sono sentiti in dovere di applicare una legge ancora prima che fosse approvata.


Il 4 febbraio scorso, infatti, il Senato ha varato il cosiddetto Pacchetto Sicurezza (ddl 733), che contiene, tra l'altro, una modifica all'articolo 35 del Testo Unico sull'Immigrazione (Dlgs 286-1998) che elimina la garanzia, per gli irregolari che vanno a curarsi, di non essere segnalati da parte dei sanitari. Un vergognoso provvedimento che impedisce di fatto alle cittadine e ai cittadini stranieri, non in regola con il permesso di soggiorno, di accedere alle prestazioni sanitarie.

Ancora una volta repressione e controllo giungono sin dentro le corsie degli ospedali dove dovrebbero essere garantiti diritti universali come quello alla salute e alle cure!!


Nell’ospedale Fatebenefratelli di Napoli, a Kadiatou Kante è stato sottratto il bambino impedendole persino di allattarlo per i 10 giorni che ci sono voluti per dimostrare che era in attesa del riconoscimento dell’asilo politico. Cosa succederà nei casi di espulsione di una donna immigrata? Che fine faranno i bambini “clandestini”? Quante saranno le donne che pur di evitare l’espulsione o di vedersi portare via il bambino ricorreranno ai circuiti illegali per partorire o abortire rischiando la morte? Kadiatou purtroppo non è neanche la prima vittima, appena due settimane fa Joy Johnson, una nigeriana di appena 24 anni moriva di tubercolosi per la paura di essere denunciata qualora si fosse presentata in ospedale per farsi curare.

Se questa legge viene approvata definitivamente, nonostante le proteste della maggioranza dei medici italiani, non solo gli immigrati irregolari rischiano la segnalazione e l’espulsione per il solo fatto di ricorrere a cure mediche, ma in caso di parto sarà impossibile anche la registrazione anagrafica del bambino!

Ancora una volta il corpo delle donne viene utilizzato come pretesto per giustificare leggi repressive. Non è un caso che proprio il pacchetto sicurezza sia stato approvato strumentalizzando gli episodi di violenza contro le donne degli ultimi mesi. Sull’onda del clamore mediatico creato ad arte intorno a questi stupri si è voluto far credere che gli unici responsabili della violenza contro le donne sono gli immigrati. Una menzogna: 142 donne sono state uccise nel 2008 e centinaia di migliaia quelle picchiate e violentate dai loro mariti, fidanzati, amici. Che c’entrano gli immigrati? Aumentare la paura dello straniero, la diffidenza e l'odio serve solo a nascondere i veri responsabili della insicurezza dei cittadini: i poteri forti che creano la precarietà, che tagliano i servizi sociali, che licenziano, che fanno degradare i nostri quartieri.


Contro pacchetti sicurezza e norme xenofobe che ci vogliono distinguere in cittadine/i con e senza diritti, rispondiamo che


SIAMO TUTTE CITTADINE DEL MONDO E ANDIAMO DOVE CI PARE!
QUESTE MISURE NON DEVONO PASSARE!

Presidio
Venerdi 3 APRILE '09 ORE 17.00- davanti al Ministero del Lavoro, Salute, Politiche Sociali (via Veneto 56, metro Barberini)

Assemblea romana di femministe e lesbiche http: //flat.noblogs.org

La storia di Kante

La storia di Kante

La storia di Kante racconta di un futuro che è subito presente. Nell’Italia del pacchetto sicurezza, migliaia di donne come Kante possono essere denunciate qualche minuto prima o qualche minuto dopo il parto per aver scelto di rivolgersi a una struttura sanitaria nonostante l’”imperdonabile colpa” di non avere documenti. Possono essere separate dai loro figli, che non avranno la possibilità di avere un nome, perché l’Italia del pacchetto sicurezza impedisce la registrazione anagrafica dei bambini e delle bambine nati senza permesso di soggiorno. Nati clandestini. Nell’Italia del pacchetto sicurezza, migliaia di donne sceglieranno di partorire o di abortire in condizioni rischiose e precarie, nasconderanno le ferite delle violenze subite pur di sfuggire alla minaccia di espulsione.

La storia di Kante anticipa il futuro, perché il pacchetto sicurezza non è stato ancora approvato eppure comincia già a far valere la sua efficacia, con la complicità di quella parte del personale medico che non ha alzato la sua voce contro il razzismo delle nuove misure, ma se ne fa docile e zelante esecutore. Uomini e donne ne subiscono e ne subiranno gli effetti, ma per le donne migranti significa e significherà perdere il controllo sul proprio corpo, tanto più esposto alla pubblica mannaia del razzismo, della violenza e dello sfruttamento quanto più sarà rinchiuso in un mondo privato e clandestino.

La storia di Kante è la storia di una legge, la Bossi-Fini, che col pacchetto sicurezza cerca di realizzare il sogno patriarcale di un respingimento delle donne negli spazi chiusi delle mura domestiche, nel muto orizzonte della clandestinità legale e politica. È per questa ragione che la storia di Kante parla a tutte le donne ed è per questa ragione che la lotta contro il razzismo istituzionale del pacchetto sicurezza e della legge Bossi-Fini deve coinvolgerci tutte. Perché riscrivere la storia di Kante, e la storia di noi tutte, è ancora possibile. Per raccontare un’altra storia del futuro, è necessario scegliere adesso DA CHE PARTE STARE.

Le Donne del Coordinamento Migranti Bologna e Provincia

Con Kante e con tutte le donne immigrate sfruttate,oppresse,emarginate, umiliate,fino ad essere uccise come la giovane donna nigeriana morta di tubercolosi in Puglia per non esserrsi recata in tempo a farsi curare per paura di essere denunciata.
Contro le politiche securitarie del governo razziste, xenofobe, moderno fasciste SCATENIAMO LA NOSTRA RIBELLIONE!!!


mfpr

SOLIDARIETA' SENZA SE E SENZA MA DA TUTTO IL TAVOLO 4.
SIAMO CON KANTE E CON LE COMPAGNE CHE LA SOSTENGONO
Bisogna denunciare politicamente le spie razziste, ovunque esse siano!
Utile qualche indicazione salvagente per tutte le immigrate irregolari, da diffondere ovunque: prima di affidarvi a un qualsiasi ospedale rivolgetevi qui, vi daranno indicazioni su dove rivolgersi per cure mediche ed altro, senza correre il rischio di essere denunciate

01/04/09

Le strappano il bambino perchè immigrata, rischia l'espulsione

QUELLO CHE ERA STATO TRISTEMENTE PREFIGURATO STA AVVENENDO E COME AL SOLITO LABORATORIO DI SPERIMENTAZIONE E' QUESTACITTA' (NAPOLI)!!
CREDO CHE OCCORRA DARE UN SEGNALE IL PIU' VELOCEMENTE POSSIBILE COSI' COME E' ACCADUTO LO SCORSO ANNO IN OCCASIONE DELL'AGGRESSIONE ALLA DONNA SOSPETTATA DI ABORTO CLANDESTINO AL POLICLINICO...
QUESTE PRATICHE DA VENTENNIO FASCISTA IN CUI ANCHE I MEDICI VENGONO CHIAMATI A SVOLGERE FUNZIONI DI CONTROLLO/SICURITARIE IN BARBA AD OGNI DIRITTO UNIVERSALE ALLA SALUTE ED ALLE CURE SANITARIE...

Una compagna di Sora Rossa (Napoli)

segue articolo

L'incubo di Kante in ospedale "Mi hanno strappato il bambino"

Parla Kante la madre clandestina della Costa d'Avorio denunciata dopo il parto al Fatebenefratelli
Occhi grondanti dolore per la storia vissuta nel suo Paese, la Costa d'Avorio in guerra civile, e per lo schiaffo subito in Italia. Kante è stata denunciata dopo il parto: è clandestina.

Occhi appannati dal dolore, ma ritrovano vita quando Abu, 26 giorni che gli sono bastati a superare i 3 chili e mezzo di peso, si volta verso il suo seno. Ha fame Abu. Vuole il latte. "Ma in ospedale mi hanno impedito di allattarlo, per quattro giorni". Kante viene dalla Costa d'Avorio. È in Italia da due anni, da quando sulla porta di casa le milizie governative del presidente Gbagbo le uccisero il marito. "L'ho visto morire dinanzi ai miei occhi. L'ho visto uccidere. A stento sono riuscita a sottrarmi ai miliziani che volevano portarmi via, sequestrarmi. E sono fuggita dalla guerra civile. Ho chiesto asilo politico qui in Italia, ma sono ancora senza documenti".

Il giorno della nascita di suo figlio Abu, il 5 marzo scorso, è cominciato, per Kante e il suo attuale compagno, un nuovo incubo. "In ospedale ci hanno chiesto i documenti, non gli è bastata la fotocopia del passaporto. Non gli è piaciuta la richiesta di soggiorno ormai scaduta. E per oltre 10 giorni mi hanno tenuta separata dal bambino". Undici giorni è rimasto Abu in ospedale: "Non lo hanno dimesso, non me lo hanno dato, fino a quando la Questura ha confermato la mia identità. Ho temuto che me lo portassero via, che non me lo facessero stringere più tra le braccia". Neppure il padre del bambino ha ottenuto che venisse dimesso: "Non ero presente al momento del parto - racconta l'uomo, Traore Seydou - E quindi il piccino è stato registrato con il nome della madre. "Non possiamo consegnarlo a te" mi hanno spiegato in ospedale. D'altra parte anche io sono senza permesso di soggiorno, in attesa che venga accolta la mia richiesta di asilo politico".

Kante ha 25 anni, 33 il suo nuovo compagno, Traore. "Il parto è andato bene, nessuna complicazione. Ma non mi sono allontanata dall'ospedale fino a quando non mi hanno permesso di portare Abu con me. Sono rimasta lì, per 11 giorni. Certo ora, col bambino, diventa più difficile trovare un lavoro qui a Napoli. Però per 6 mesi non potranno cacciarmi dal Paese". Niente foglio di via, per chi ha partorito sul territorio nazionale. "Ma dopo?" L'idea di tornare in Costa d'Avorio la terrorizza. "Anche se mi piacerebbe rivedere il mio primo figlio, che ora ha 5 anni e vive con la nonna". Traore, che in Africa faceva il falegname, si arrangia con lavoretti che riescono appena a sfamare la famiglia e a permettergli di mantenere la povera casa, a Pianura, che i due dividono con un'altra coppia.

"Troviamo assurdo quello che ci è successo - raccontano entrambi - credevamo che l'Italia fosse un Paese ospitale. Qui la gente non è cattiva. Mai sentito di madri denunciate dagli ospedali in cui avevano partorito". Per i nove mesi della gravidanza Kante era stata seguita - con tanto di accertamenti e controlli medici - dai sanitari dell'ospedale San Paolo. Ed a nessuno era venuto in mente di rivolgersi alle forze dell'ordine. "Ma il giorno in cui mi sono venute le doglie al San Paolo non c'era posto. Quando alle 22.30 siamo andati al Pronto soccorso di quest'ospedale mi hanno assicurato che tutto procedeva regolarmente, ma che era presto per ricoverarmi. Hanno aggiunto che comunque posti non ce n'erano e quindi, dopo qualche ora, ci siamo rivolti al Fatebenefratelli. Ed è lì che dovremo portare il bambino ad un controllo medico, tra qualche giorno".
(31 marzo 2009)

Dalle lavoratrici delle pulizie di Taranto

Irruzione in consiglio comunale a Taranto

Questa mattina lavoratrici e lavoratori dello pulizie dello slai cobas per il sindacato di classe insieme ad altre decine di lavoratori delle pulizie
uffici comunali e ad altri lavoratori in cig e senza lavoro di ex appalti comunali hanno fatto irruzione con cartelli, striscioni e con volantini durante il consiglio comunale.
Il consiglio è stato così interrotto per circa due ore ed è stato imposto un'ordine del giorno straordinario in cui il sindaco e l'intero
consiglio si impegnano a chiedere un tavolo in Prefettura per risolvere definitivamente il problema del passaggio da lavoro e lavoro.

Oggi non si sono sentiti i soliti interventi di rito di consiglieri e assessori, ma gli interventi forti delle lavoratrici e lavoratori che hanno detto:
basta promesse e le solite parole "stiamo lavorando per voi", basta rinvii, vogliamo fatti certi e chiari!

Doveva essere tutto pronto per il passaggio da lavoro a lavoro dei 185 lavoratori delle pulizie degli Uff. comunali al 1° di aprile, e invece ci
ci troviamo di fronte al fatto che le notizie cambiano da un giorno all'altro, alimentando incertezze e preoccupazioni.

Il Sindaco e gli assessori addetti invece di dire alle lavoratrci e ai lavoratori esattamente come stanno e a che punto stanno le varie soluzioni lavorative, chiedono loro di unirsi al Comune per fare pressione verso la prefettura sulla questione di ottenere da Roma degli incentivi.
Noi invece pensiamo che le lavoratrici, i lavoratori e lo slai cobas per il sindacato di classe già da tempo stanno lottando senza aspettare o delegare a nessuno, che i lavoratori non debbono farsi portavoce o i difensori di nessuno e che, quindi, è il Comune che si deve assumere chiaramente le sue responsabilità, senza prendere in giro le lavoratrici dicendo ogni giorno cose diverse.

Domani continua il presidio in corso già da diverse settimane.

le lavoratrici delle pulizie dello Slai cobas per il sindacato di classe TARANTO

Verso lo sciopero delle donne

Verso lo sciopero delle donne

Anche solo considerando i dati dell'Istat, che certo sottostimano il fenomeno, in Italia la violenza di genere è compiuta per il 98% da uomini su donne; in massima parte gli stupratori sono cittadini italiani; la violenza maschile resta la prima causa di morte e di invalidità permanente delle donne. Oggi politici e giornalisti si sforzano di strumentalizzare gli episodi più eclatanti di stupro per legittimare politiche autoritarie e xenofobe. Ma va ribadito che la violenza di genere attraversa verticalmente tutta la società e che stupri e femminicidi non sono che la punta emergente di un fenomeno ben più ampio e stratificato: quello di una generale discriminazione delle donne, nel lavoro, nella vita quotidiana, nella negazione della nostra libertà, nella violazione dei nostri corpi, nella costrizione al silenzio.
Denunciare e contrastare la violenza sessuale non sarà allora sufficiente se non si mettono in questione anche le forme strutturali della discriminazione e del sessismo: la rappresentazione istituzionalizzata del «femminile», le immagini sessiste di Tv, giornali, libri di scuola, ma anche i processi di precarizzazione del lavoro femminile, le disparità di salario e di carriera nei posti di lavoro, l'attribuzione diseguale, solo alle donne, della cura gratuita della casa, dei bambini, degli anziani. Proprio la crescente discriminazione del lavoro femminile diventa, in tempi di crisi economica, il fulcro materiale di un rinnovato autoritarismo sul corpo delle donne, costrette a lavori malpagati e, di conseguenza, sempre più vincolate alla casa in posizione di subalternità e dipendenza economica.
Solo ora ci si sta rendendo conto della gravità e dell'estensione della crisi finanziaria che sempre più investe e disgrega l'«economia reale» lasciando sul campo milioni di disoccupati. È una crisi che scuote violentemente parametri e assetti consolidati, tanto che c'è chi ha parlato dell'aprirsi di una «nuova fase del capitalismo» dagli esiti imprevedibili. Né è un caso che nei paesi occidentali la «politica per la famiglia» assuma oggi nuova importanza: l'Unione Europea raccomanda a governi e imprese di «sostenere la famiglia» e di «investire nelle risorse umane e nell'uso efficiente del capitale umano».
Certo è che la crisi della globalizzazione neoliberista impone una crescente riterritorializzazione delle economie capitalistiche, il rilancio dei mercati interni, la necessità di ridare reddito per riavviare il ciclo dei consumi. Ma i nuovi «aiuti familiari» comportano un forte risvolto di normatività, di controllo e di disciplinamento della vita delle donne. Concesso dall'alto, in una fase drammatica di tagli e disoccupazione, il reddito assumerà sempre più un valore premiale per chi si identifica con una sorta di «salute nazionale». Le politiche statali mirano oggi a distinguere tra «decorose» famiglie regolari (che riproducono lavoratori-consumatori) e lavoratori usa e getta, non garantiti, da sfruttare al massimo grado. In questo quadro, sono le donne a pagare il prezzo più alto: discriminate sul posto di lavoro, subordinate in famiglia, costrette gratuitamente al «lavoro di cura».
Non si tratta pertanto di cercare risposte in una falsa coesione, ma nelle lotte e nel conflitto sociale promosso dalle donne. Oggi crediamo sia importante creare reti autonome di lotta femminista e forme di autoassistenza sviluppando e potenziando quegli esperimenti che già esistono di economia alternativa, dal basso, solidaristica. Ma occorre altresì interrogarsi sui risvolti disciplinari dei nuovi progetti di Welfare: rivendicare una garanzia di reddito dalle istituzioni («reddito di cittadinanza», «reddito di esistenza», «salario garantito») riesce davvero a contrastare efficacemente le politiche sociali autoritarie? è adeguato portare avanti parole d'ordine che solo ieri apparivano utopiche e ora diventano strumento differenziale di governo e di disciplinamento?
Si pensi solo al progetto del «mutuo sociale per la casa» portato avanti in questi anni dai neofascisti di CasaPound e reso operativo di recente dal sindaco Alemanno. Anziché riproporre l'edilizia popolare o calmierare in qualche modo il mercato degli affitti, il comune di Roma preferisce erogare soldi alle famiglie avvantaggiando chi ha già disponibilità economiche e favorendo insieme la speculazione edilizia dei «palazzinari». Ma chi non ce la fa a pagare l'affitto non potrà certo permettersi di comprare una casa, anche con un mutuo agevolato. Quello del «mutuo sociale» è un programma politico di controllo e di promozione della famiglia italiana, «sana», disciplinata. Lo stesso potrebbe dirsi per la campagna del comitato «Tempo di essere madri», legato a CasaPound, che promuove in questi giorni una proposta di legge per il part-time alle madri lavoratrici italiane mantenendo lo stipendio pieno. Sono proposte del tutto coerenti con il nuovo «neoliberismo nazional-populista». Con una mano deregolamentano il lavoro; con l'altra tendono il pane, ma solo ad alcuni: a coloro che sono capitale umano, madri e padri fedeli al dovere, famiglia sana e perbenista. Queste politiche, infatti, sono basate su una pesante selezione degli aventi diritto e su condizioni inflessibili e ricattatorie per non decadere dagli «aiuti».
Di fronte a una situazione come quella attuale – così simile alla stagione del Novecento che prelude ai grandi totalitarismi europei – pare sempre più necessario un impegno di lotta femminista a tutto campo. Nella riunione nazionale del 24 gennaio, il Tavolo 4 «Lavoro/precarietà/reddito» della rete femminista e lesbica delle Sommosse, ha deciso di lanciare l'idea di uno «Sciopero delle Donne», costruito in modo autonomo dalle lavoratrici, dalle operaie, dalle precarie, dalle disoccupate, dalle giovani, dalle migranti, per denunciare una disparità che perdura e peggiora ogni giorno. Per promuoverlo, l'8 marzo vi saranno in tutt'Italia presidi, sit in, manifestazioni, volantinaggi, assemblee, raccolte di firme, iniziative di protesta, azioni simboliche (vedi http://femminismorivoluzionario.blogspot.com). Non pagheremo la vostra crisi! Non ci piegheremo alle politiche patriarcali che vogliono sottrarci quel poco di libertà che ci siamo conquistate!

Cassandre felsinee del Tavolo 4

NO ALLA REPRESSIONE DELLE LOTTE

BASTA PRECARIETA'
NO ALLA REPRESSIONE DELLE LOTTE

Il giorno 8 aprile del 2009 si celebrerà, presso il Tribunale di Roma, la prima udienza del processo contro 15 lavoratrici e lavoratori del COLLETTIVO PRECARIATESIA e della ACCCP (Assemblea Coordinata e Continuativa Contro la Precarietà), per aver dato vita, il 1° giugno 2006, ad uno degli scioperi più importanti che abbiano segnato la vertenza ATESIA tra il 12 maggio 05 e il 20 marzo 07.

Il presidio costruito con l'adesione dei lavoratori/trici della confederazione COBAS e dello SLAI-COBAS, come recita il documento della polizia che ci porta al processo, è stato descritto come art. 640 C.P., ovvero come VIOLENZA PRIVATA, naturalmente PLURIAGGRAVATA dal numero dei partecipanti.

Il 23 aprile del 2009 si aprirà forse l'ultima udienza del processo contro ATESIA intentato dai primi quattro licenziati del collettivo Precariatesia, licenziamento avvenuto il 22 luglio del 2005, per aver
convocato una assemblea interna contro l'interruzione di contratto per 800 addetti/e alle telefonate in out-bound.

Questi appuntamenti segnano una nuova fase della lotta contro la precarietà che in questi anni ha visto nelle iniziative su Atesia uno dei suoi punti massimi di conflittualità. Una lotta che ha prodotto nel 2007 la stabilizzazione, con contratto a tempo indeterminato, di oltre 20.000 lavoratrici e lavoratori nei call center.

In una fase in cui una pesante crisi di sovraproduzione - di capitale, di merci e di lavoro -- investe l'intero globo con la conseguenza di aggravare le condizioni di vita e di lavoro di milioni di proletari, le precarie ed i precari sono, insieme ai lavoratori immigrati, i primi a
pagarne le conseguenze.

In questo scenario, è evidente che si acuiscono le tensioni e il capitale sente la debolezza dell'intero sistema e cerca di deviare queste tensioni verso politiche di guerra fra poveri (contro gli immigrati o i precari ecc.) e al contempo cerca di "prevenire" la possibilità che si sviluppi la conflittualità nei luoghi di lavoro, nei territori e nelle scuole.

Ecco dunque che un'esperienza di lotta come quella che si è prodotta in Atesia negli scorsi anni diventa una scomoda realtà per il potere a cui bisogna rispondere con la repressione, in azienda come nei tribunali penali, ciò funge da monito ad altri che eventualmente volessero
ripercorrere percorsi di autorganizzazione e lotta. In più, con il processo del prossimo 8 aprile, si vuole affermare che persino lo sciopero è una forma di lotta non più tollerabile dal sistema.

Le nuove norme rendono ancora più aspre le misure contro lo sciopero, già presenti nella legislazione a partire dalla legge 146 del 1990 ed è sempre più diffuso l'uso della precettazione per impedire gli scioperi (uno degli ultimi esempi è il rinvio per ben 3 volte dello sciopero indetto dall'assemblea dei ferrovieri per il reintegro del RLS Dante De Angelis). Si progettano, inoltre, leggi per ridurre la presenza organizzata dei lavoratori nei posti di lavoro (in primo colpendo le esperienze di autorganizzazione e con esse anche quelle dei sindacati che non accettano di fare il cane da guardia dei padroni in mezzo ai lavoratori).

Tutte queste ragioni ci fanno ritenere gli appuntamenti processuali dell'8 e del 23 aprile una scadenza per l'intero movimento e per tutte quelle forze che ritengono importante mantenere ed anzi allargare gli spazi di democrazia nei luoghi di lavoro e nella società.

Per rispondere a questi attacchi convochiamo:

una assemblea cittadina il 2 aprile 2009 dalle ore 17 alla facoltà di fisica dell'università "la Sapienza";

una presenza di massa l'8 aprile 2009 a partire dalle ore 9,30 nell'aula del tribunale penale di Roma (Piazzale Clodio) dove si svolgerà il processo;

un presidio il 23 aprile 2009 dalle ore 10,30 al Tribunale del lavoro di Roma (Via Lepanto).

Collettivo PrecariAtesia; Assemblea Coordinata e Continuativa Contro la Precarietà; Confederazione Cobas; Slai Cobas